Condannato all’ergastolo il muratore Massimo Bossetti. E’ lui l’assassino di Yara Gambirasio, tredicenne di Brembate scomparsa il 26 novembre 2010.
A tre mesi dalla sentenza di primo grado, i giudici della Corte d’Assise di Bergamo depositano un provvedimento di 158 pagine.
L’omicidio è “maturato in un contesto di avances a sfondo sessuale, verosimilmente respinte dalla ragazza, in grado di scatenare nell’imputato una reazione di violenza e sadismo di cui non aveva mai dato prova ad allora”, recita la sentenza.
I giudici parlano di crudeltà e animo sadico. Le azioni dell’uomo sono state chiaramente mosse dall’appagamento dell’istinto di recare dolore. E ciò si evince dal modo in cui l’imputato ha agito sul corpo dell’adolescente. Non “in modo incontrollato, sferrando una pluralità di fendenti, ma operando sulla vittima per un apprezzabile lasso temporale; girandolo, alzando i vestiti e tracciando, mentre Yara era ancora in vita, tagli lineari e simmetrici, in alcuni casi superficiali e dunque idonei a causare dolore ma non l’immediato decesso”. L’assassino avrebbe poi lasciato la vittima ad agonizzare in un campo isolato dove è stata trovata mesi dopo.
Sull’affidabilità del Dna la Corte d’Assise non nutre dubbi, smontando così uno dei punti dell’accusa contestati dalla difesa. Il profilo genetico nucleare di Ignoto 1 riconduce con certezza a Bossetti. Questi i risultati ottenuto mediante varie analisi eseguite nel rispetto dei parametri imposti dalla comunità scientifica internazionale.
Il pm Letizia Ruggeri, che ha condotto le indagini, potrebbe presentare ricorso in appello contro l’assoluzione del carnefice dall’accusa di calunnia contro l’ex collega Massimo Maggioni. Bossetti affermò in aula che l’uomo aveva fatto in modo di far ricadere la colpa dell’omicidio su di lui, per invidia nei suoi confronti.