La camorra si rivela prontamente in grado di proporre realtà e disegnare scenari che superano di gran lunga la fervida immaginazione delle pellicole cinematografiche forgiate a immagine e somiglianza delle gesta di Gomorra.
Due dipinti di valore inestimabile realizzati da Van Gogh sono stati sequestrati dagli uomini della Gdf che li hanno ritrovati in uno scantinato del napoletano, nell’ambito di un blitz a Castellamare di Stabia, finalizzato a sgominare alcuni boss della camorra.
La notizia del ritrovamento delle opere è stata confermata dal Museo Vang Gogh di Amsterdam, dove furono rubate nel dicembre 2002 da un gruppo di ladri entrati dal tetto.
Le opere salvate oggi, 30 settembre, dalle mani della camorra sono “La Spiaggia di Scheveningen”, del 1882, e “L’uscita dalla chiesa protestante di Nuenen”, del 1884. I dipinti hanno un valore che supera i cento milioni di euro e sono entrambi di dimensioni contenute.
Secondo quanto riportato da “La Repubblica”, le opere si trovavano «dove nessuno le avrebbe cercate. Nel cuore di un anonimo locale della provincia costiera, a Castellammare di Stabia». “La spiaggia”, che misura 34×51, fu realizzato dal pittore olandese mentre viveva in una casa affacciata su una costa sabbiosa. L’opera occupava il primo posto nella disposizione delle opere al Museo Van Gogh. Il secondo, “L’uscita dalla Chiesa”, misure 41×32, fu donato da Van Gogh ai genitori e rappresenta la chiesa dove il padre sacerdote predicava. Entrambi i quadri rientrano nel primo periodo artistico del pittore.
L’indagine prende il nome di “Operazione Vincent” ed è il frutto di un’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli nei confronti del boss Raffaele Imperiale. Come in tutte le aziende, anche le organizzazioni criminali, come la camorra, si concentrano su processi di diversificazione. E a vari livelli.
Da anni gli interessi della realtà criminali convergono verso le opere d’arte. Gli investimenti in questo settore interessano alcuni boss “mecenati” da tempo. Il loro intento è fare dell’arte una fonte di profitto illecito sicuro. I quadri oggi salvati dalla Guardia di Finanza sono soltanto parte di quanto ottenuto da Imperiale con i profitti illeciti del traffico di droga.
I pm Castaldi, De Marco, Marra e il sostituto della Dna De Simone, coordinati dal procuratore aggiunto Beatrice, hanno cominciato le indagini nel febbraio scorso. Da quella pista che arrivò l’emissione dell’ordinanza in carcere per la cosca del narcotrafficante stabiese.
Il boss gestiva con i soci Mario Cerrone e Gaetano Schettino – anche loro stabiesi, ma appartenenti al clan degli Scissionisti di Scampia – una rete internazionale di traffico di stupefacenti che poi venivano piazzati sui mercati del Meridione.
Imperiale, detto Lelluccio ‘o parente, è latitante a Dubai. Da qui invia la difensiva per il processo di camorra in cui è implicato. Negli Emirati il boss ha messo in piedi un impero edile con progetti per la costruzione di ville dal valore di 20 milioni ciascuna.
Parte di queste risorse venivano convertite anche nell’acquisizione di opere trafugate e immesse nel mercato nero. Come nel caso dei dipinti del Van Gogh. Con il lievitare dei guadagni ottenuti dalla droga e dalle operazioni immobiliari, Imperiale intrattenne rapporti di amicizia con personalità potenti. Imprenditori, finanzieri e anche qualche diplomatico: tutti erano utilissimi agli affari del narcotrafficante, a capo di una rete di corrieri che andava dal Venezuela al Perù destinazione Napoli.
In questo scenario le opere d’arte fungono da investimento, da fondo cui attingere in qualsiasi momento. E Imperiale questo lo sapeva bene. Puntare sull’arte serviva ad assicurare la proprio ricchezza sporca, oltre che a stabilire prestigio. Attualmente non è chiaro come il narcotrafficante sia arrivato a ottenere le due opere, ma è certo che le organizzazione criminali sono in stretto contatto con i canali che commerciano opere rubate.