Una giornata sorta del segno di una notizia che ha generato un “forte scossone” ai comuni dell’hinterland napoletano: nel Golfo di Napoli, nel tratto compreso tra Ercolano e Torre Annunziata, a meno di 3 chilometri dalla costa, ci sono ben sei strutture vulcaniche sottomarine.
La clamorosa scoperta, pubblicata questo mese sulla rivista scientifica americana Geophysical Reserch Letter, è frutto del lavoro di un nutrito team di ricercatori, del quale fanno parte esperti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Roma 1); del Dipartimento di scienze della terra (Distar) della Federico II di Napoli; dell’Istituto per l’ambiente marino costiero del Consiglio nazionale delle ricerche.
Lo studio intitolato Somma-Vesuvio volcano revealed by magnetic and seismic data conferma il quadro niente affatto rassicurante delle potenzialità catastrofiche del vulcanesimo sommerso nel Golfo.
I risultati dello studio sono stai pubblicati anche sul sito dell’Università di Napoli Federico II è anche commentato da uno dei ricercatori, Guido Ventura: «Abbiamo rilevato nuovi punti di emissioni di anidride carbonica nel Golfo di Napoli — scrive — cosa abbastanza comune in aree geotermali e vulcaniche. E qui abbiamo scoperto sei strutture vulcaniche (coni e duomi) finora sconosciute, con un diametro di 800 metri. Inoltre sono state identificate delle colate laviche medioevali che si sono riversate in mare in età prevalentemente medioevale».
I sei vulcani, contrassegnati sulle slide con le sigle V1-V2-V3-V4-V5-V6, formano una semicorona in mare proprio lungo il tratto costiero che va da Ercolano alla antica Oplonti. Le ricerche hanno consentito di stabilire che tre delle strutture vulcaniche sottomarine (V1-V2-V3) si sono formate prima di 19 mila anni fa, quindi in epoca preistorica. Mentre per il vulcano V5, il più vicino alla costa di Torre Annunziata, la cui parte superiore è ad appena cinque metri sotto il fondale marino, gli scienziati sono convinti che abbia un’età geologica decisamente più giovane. Infine, il V6, quello che sorge davanti al litorale di Ercolano tra 50 e 100 metri di profondità, avrebbe eruttato in età molto più vicine a noi, cioè dopo il 1631 d.C. In particolare il magma sarebbe risalito durante le eruzioni del 1794 e del 1861. Lo studio ha riguardato pure lo stato dei cosiddetti «cryptodomes» già rilevati nel 2012 a quattro chilometri dalla costa. Si tratta di cupole sommerse di lava «ingabbiata» dove non sono state rilevate anomalie magnetiche, pertanto si ritiene che la loro natura vulcanica sia discutibile.
Ovviamente, se i risultati dello studio sono importanti dal punto di vista scientifico, inevitabilmente aumentano la consapevolezza di quale sia il livello teorico di rischio cui sono sottoposti tutti gli abitanti del Golfo. Va detto che la scoperta è avvenuta nell’ambito della campagna «Safe 2014», con rilievi effettuati a bordo della nave oceanografica Urania del Cnr, che già ha portato nel marzo scorso alla scoperta del famoso «duomo» sottomarino a 150 metri di profondità e a 2,5 chilometri da Posillipo. Quello però, a giudizio degli scienziati, non rappresenta al momento alcun pericolo dal momento che contiene gas, per lo più anidride carbonica.
Diverso il discorso per i sei vulcani sottomarini, uno di loro in particolare presenterebbe una struttura più debole. Perciò gli studiosi concludono con una sorta di monito ai responsabili della pubblica incolumità: «Il rischio correlato a possibili, future attività sottomarine, dovrebbe essere incluso nei programmi di valutazione del rischio». Mentre, dal momento che è stata accertata la presenza di colate laviche vesuviane che nel Medioevo hanno raggiunto il mare, «anche questo rischio dovrebbe essere presto in considerazione per una corretta pianificazione degli scenari eruttivi attesi».
Una scoperta che aumenta il grado di rischio vulcanico dell’intera zona.