Il pane è un alimento imprescindibile della dieta mediterranea, oltre che uno degli inamovibili capisaldi degli usi e costumi della tradizione gastronomica campana. Ogni giorno, sulle tavole di tutti i cittadini, viene affettato almeno un pezzo di pane.
Calcolatrice alla mano, effettuando un calcolo piuttosto elementare, la vendita del pane può diventare un business capace di fruttare migliaia di euro al giorno, a patto che venga “abbattuta la concorrenza” e sia un unico fornitore ad accaparrarsene il monopolio.
Come si può assicurare la vendita esclusiva di un bene tanto popolare quanto di largo e diffuso consumo?
La risposta è facile: la camorra, solo la camorra può riuscire a perseguire anche questo intento.
L’operazione condotta durante la giornata di ieri, 29 settembre, dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Napoli e dal nucleo investigativo della polizia penitenziaria, per eseguire le nove ordinanze di custodia cautelare predisposte dal Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della direzione distrettuale antimafia, lo comprova.
Sei gli arrestati tradotti in carcere e tre destinati ai domiciliari, molti dei quali riconducibili alla fazione dei Zagaria del clan dei Casalesi. All’esecuzione dei mandati di cattura, si aggiunge anche la disposizione di un sequestro di beni – fra attività e società destinate alla produzione di prodotti alimentari e da panificio – per un valore di 18 milioni di euro.
È così che i clan si sono accaparrati il monopolio del pane.
I commercianti del casertano erano costretti ad acquistare il pane solo dei Casalesi, cioè quello prodotto dall’imprenditore Gianni Morico, titolare del marchio omonimo e anche di un elegante bar di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), che per garantirsi il risultato ricorreva ai “servigi” di Mario Maio, esponente di spicco di un’altra fazione, quella riconducibile a Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, personaggio facente parte della cosiddetta “manovalanza” della cosca, che si occupava anche di riscuotere il denaro delle estorsioni.
Il clan imponeva il suo pane ai commercianti di numerosi comuni: Grazzanise, Cancello ed Arnone, Pastorano, Santa Maria Capua Vetere, Sparanise, Teano e Giugliano in Campania. Al cugino del boss Michele Zagaria, Pasquale Fontana, invece, spettava il compito di impartire indicazioni riguardo gli investimenti da fare ed indicare le persone che avrebbero ricoperto il ruolo di prestanome. Morico e Maio si occupavano anche di intrecciare accordi con le fazioni del clan riguardo la ripartizione delle aree di distribuzione dei prodotti da forno e degli utili.