«Il dramma dei ragazzi stritolati dalla spirale della camorra non si risolve nei salotti. E’ un fenomeno criminale imponente, che ci riguarda tutti, a cominciare da quella borghesia che dovrebbe decidersi, una volta per tutte, ad uscire dal suo isolamento», ragiona in questi termini Henry John Woodcock, il magistrato che ha rappresentato la pubblica accusa al processo sulla “paranza dei bimbi” di Forcella.
Ce n’è abbastanza per una riflessione severa, che chiama in causa una porzione precisa della città, che appare troppo spesso distante dai problemi concreti della metropoli. «Credo che tutti i napoletani debbano vedere quel documentario (Robinù di Michele Santoro)– afferma Woodcock – Soprattutto quelli che appartengono alla cosiddetta “Napoli bene”, quella borghesia più o meno “alta” che spesso fa finta di niente perché trova più conveniente ignorare il problema, oppure, peggio ancora, lo affronta, lo analizza e immagina anche di poterlo risolvere con quella punta di inesorabile snobismo che la caratterizza da sempre».
Nel mirino del pm che, dopo aver indagato sui grandi intrecci del potere si occupa ormai a tempo pieno delle ramificazioni dei clan, c’è proprio «quella parte della borghesia partenopea che si considera illuminata e che tende a concentrare le sue energie in sterili discussioni e dibattiti consumati in questo o quel salotto alla moda, magari prima o dopo l’assaggio di un gustoso piatto cucinato con l’ultima ricetta. Ma nel frattempo, il fenomeno è ormai entrato a pieno titolo nel salotto di Napoli: non si spara solo a Forcella o a Scampia, ma fra piazza Municipio, piazza del Plebiscito e il teatro San Carlo».
Ma in che modo si possono salvare questi ragazzi? «Come rappresentante delle istituzioni e come operatore giudiziario – argomenta il pm Woodcock – mi sento solo di poter dire che anche la repressione di questi fenomeni criminali deve essere innanzitutto portata avanti abbandonando la contrapposizione tra “buoni e cattivi”. Questa logica non porta da nessuna parte. D’altro canto, però, come napoletani non bisogna schernirsi o quasi vergognarsi nel rappresentare e nel denunziare, anche pubblicamente e a gran voce, la drammaticità di un fenomeno che non solo esiste e che è imponente, ma che riguarda il ventre della nostra città». Una realtà che, sottolinea il magistrato, «rappresenta peraltro anche l’espressione di un’energia che, se fosse riconvertita in termini positivi, potrebbe dare risultati straordinari. Proprio in quelle zone la città ha saputo dimostrare, sin dal dopoguerra, anche una straordinaria umanità e la capacità di mettere insieme culture diverse, aprendosi all’integrazione degli immigrati. Molti anni prima, mi verrebbe da dire, della Norvegia».