La rivolta attuata nel carcere minorile di Airola, ricorda, sotto molti aspetti, quella raccontata nel celebre film “Il Camorrista”, magistralmente interpretata dall’indimenticato Ben Gazzara, nel ruolo del “Professore ‘e Vesuviano” alias Raffaele Cutolo.
Una rivolta confezionata ad arte proprio dall’acuta mente del boss, sia per sottolineare l’egemonia della camorra, anche in quella sede, a dispetto dello Stato, sia per negoziare una trattativa che avrebbe portato “’O professore” a lasciare il carcere per una notte, dopo aver sedato gli animi dei ribelli e facinorosi detenuti che esigevano una miglioria delle condizioni di vita all’interno della struttura penitenziaria.
Anche ad Airola sta accadendo esattamente questo: in carcere non arrivano le sigarette e tanto è bastato a far scoppiare la protesta. Un palese pretesto, utile ad innescare la scintilla: l’incipit d tutto è in quelle cinque ore di alta tensione nel penitenziario minorile di Airola, in Valle Caudina, nel Beneventano.
La rivolta viene sedata grazie all’intervento di una trentina di agenti di polizia penitenziaria provenienti anche da Nisida, dal carcere di Benevento e dal centro di prima accoglienza di Napoli. Secondo quanto riferito da fonti qualificate, nessun detenuto è rimasto ferito. Ma i danni alle cose sono ingenti: 30 mila euro. A promuovere la rivolta sarebbero stati alcuni detenuti maggiorenni che gravitano nell’orbita di clan camorristici napoletani e che nella protesta avrebbero coinvolto gli altri giovani detenuti.
In primis, spicca il nome di Mariano Abbagnara, giovane leva del clan D’Amico di Ponticelli, nonché grande protagonista di “Robinù”, il film-documentario di Michele Santoro presentato in anteprima al Festival di Venezia, nell’arco delle medesime ore in cui, tra le mura del carcere minorile del beneventano si registravano momenti di violenza e concitata tensione.
Mariano, 19 anni, alle spalle un omicidio che gli vale una condanna di 16 anni, un baby-boss come tanti, incapace di abbracciare sentimenti di redenzione, ostenta, piuttosto, disprezzo ed avversione verso istituzioni e forze dell’ordine. Dalle sue dichiarazioni trapela l’assenza di qualsiasi ravvedimento rispetto ai crimini commessi: “faccia janca”, questo il suo soprannome, rappresenta l’emblema dello status nel quale imperversano le giovani leve della camorra che, per giunta, vanificano i processi di riabilitazione degli altri minorenni ospitati nelle strutture penitenziarie. Tutto è cominciato così: alcuni detenuti hanno cominciato a sfasciare termosifoni, tubature, televisori e suppellettili di un’intera sezione del carcere, utilizzando manici di scope e piedi di legno dei tavoli con cui hanno ferito due agenti di polizia penitenziaria costretti a fare ricorso alle cure dei medici dell’ospedale di Sant’Agata dei Goti. Sfondata anche una parete tra due celle.
Dopo poche ore, la rivolta rientra. I ragazzi che hanno avviato la protesta sono stati subito bloccati e rinchiusi in una stanza in modo da non poter danneggiare altri spazi. All’origine futili motivi, ma la ragione vera è che alcuni di questi ragazzi hanno come obiettivo fare una carriera criminale e hanno voluto dimostrare di essere in grado di creare problemi e di poter passare al carcere duro, degli adulti.
I detenuti dopo aver sfasciato interamente una sezione dell’Istituto penale per minorenni, hanno minacciato per ore gli agenti di polizia penitenziaria in servizio nelle sezioni detentive a cui va la nostra vicinanza e solidarietà.
Una guerra. Il carcere minorile di Airola, in provincia di Benevento, in pochi minuti è stato devastato da una quarantina di detenuti capeggiati da aspiranti boss della Camorra.
I baby boss della Camorra impartivano ordini, i baby gregari obbedivano. Una rivolta che secondo il Centro giustizia minorile, ha avuto un obiettivo ben preciso: l’ascesa criminale di alcuni detenuti vicini al clan.
Un’autentica dimostrazione di forza per dimostrare di essere in grado di tenere in scacco lo Stato e di poter, quindi, aspirare a diventare boss. Coinvolti in questa maxi rivolta sono stati 37 detenuti minorenni, ma anche due 21enni.
Le rivendicazioni legate al vitto e alla sigarette un facile pretesto per aizzare la rivolta, ma, in verità, gli aspiranti boss volevano mandare all’esterno del carcere un messaggio chiaro, un messaggio che doveva raggiungere i quartieri dove loro hanno le piazze di spaccio e i giri di estorsione e usura: anche da qui dentro, comandiamo noi.
“Simm’ è chiù fort’”: sovente, quei ragazzi urlano a favore di telecamera, mentre vengono tratti in arresto. E, attraverso questa protesta, quei ragazzi, hanno trovato il modo per urlare adora una volta quel concetto, con voce ancor più sostenuta.
Hanno voluto dimostrare di essere in grado di creare problemi e di poter passare al carcere duro, quello degli adulti.
Uno dei problemi del carcere minorile è dato anche dalla presenza di alcuni detenuti maggiorenni che non dovrebbero scontare la pena in quegli istituti. Infatti, la rivolta di Airola non è la prima, anzi, segue di pochi giorni un’altra sommossa violenta avvenuta a Roma.
Per ridurre l’affollamento delle carceri per adulti, infatti, nel 2014 è stato previsto per legge che i detenuti fino all’età di 25 anni scontino la pena in strutture minorili.
Una rivolta che consegna un monito severo: il carcere, quello dei “grandi” così come quello destinato ad accogliere “i piccoli”, paradossalmente, rappresenta uno dei luoghi in cui il sentimento e il rapporto concreto di affiliazione, tendono a consolidarsi, piuttosto che affievolire.