“Oggi si cercano e si incontrano coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, cominciando a tessere la trama del futuro” avevano scritto nel 1941 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni parlando di un’Unione Europea che ancora non esisteva, al suo posto le rovine delle nazioni bombardate dai nazisti si piegavano al vento.
Su quelle stesse parole si riuniscono oggi pomeriggio Matteo Renzi, Angela Merkel e François Hollande a Ventotene, terra d’esilio dai tempi dell’imperatore Augusto fino alla dittatura fascista, lì dove gli oppositori del regime hanno scritto il manifesto “Per un’Europa libera e unita” e stabilito priorità per il futuro da cui i nostri premier troveranno un punto d’incontro, anzi, dovranno ideare una soluzione. Con la speranza che tra l’arrivo a Napoli per le 15, la visita alla tomba di Spinelli e la blindatissima conferenza stampa nel portaerei Garibaldi, fissata alle 18, ci sia un’illuminazione collettiva.
Gli argomenti principali
L’attuazione di una Difesa militare europea contro il terrorismo e la crisi dei migranti. Il Brexit, la creazione di un ministro delle Finanze UE e i fondi per i giovani e lo sviluppo: è pressoché certo che questi siano i nodi gordiani che non si sono sciolti il 28 Giugno a Berlino né saranno spezzati con una spada in questa giornata, come insegna la leggenda di Alessandro Magno. Bisogna essere realisti. La sorte di 28 Stati membri non deve essere presa alla leggera né rimanere nella retorica.
A distanza di 70 anni dalla pubblicazione fa impressione ritrovare somiglianze tra i propositi dei “padri morali” dell’UE e gli stessi che stanno incrinando i rapporti tra italiani e tedeschi, greci e francesi, inglesi e spagnoli. L’Unione Europea, additata da molti come una macchina succhia soldi, era stata disegnata da quegli antifascisti esiliati come “la creazione più grandiosa e innovatrice sorta da secoli” nel Vecchio Continente. Un progetto che non deve essere limitato alla mera tregua bellica tra alleati e nemici né a una trattativa economica per tutelare il settore siderurgico tra pochi paesi eletti -approvata dai sei membri fondatori nel 1951 come Comunità Europa del Carbone e dell’Acciaio-.
[…]per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia […] secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.
Questo momento storico di tribolazione è una sfida per l’Unione, ma i pessimisti prevedono anche una fine sempre più vicina, causata dalla perdita dei simboli su cui si era fondato questo progetto federale -unione e autonomia, libero mercato e sviluppo diffuso, le generazioni “europee” e una cultura oltre i confini nazionali-.
Confini nazionali ormai distrutti, altri rialzati come un muro per il medesimo motivo: il flusso migratorio. Facendo affidamento ai dati Eurostat, nel 2014 abitavano in un paese UE 33,5 milioni di persone nate da uno stato terzo e nello stesso anno la Germania ne ospitava 7 milioni, la fetta di stranieri maggiore rispetto al Regno Unito e Italia con 5 milioni ciascuni. I numeri si basano però su cittadini con il regolare permesso di soggiorno: non è semplice immaginare la mole degli immigrati clandestini, ma stimando le 3mila vittime in mare dall’inizio del 2016 -stime Oim-, i minori che fuggono dai centri di accoglienza e le quote di distribuzione tra le nazioni, si parla di centinaia di migliaia. Solo in Germania poco meno di 480mila domande di asilo sono state compilate l’anno scorso. La situazione è fuori controllo. Nel frattempo che si attende l’agognata soluzione che metterà Austria, Grecia, Francia e Italia d’accordo, le vittime e i carnefici fuggono e inseguono la stessa meta.
Gli Stati uniti d’Europa: sogno in frantumi?
Il Regno Unito ha diviso l’Europa e diviso se stesso con il referendum sull’uscita dall’Unione e la premier Theresa May intende posticipare l’addio al 2019, ben conscia del processo doloroso sia in termini di inflazione dei prezzi sia del tabù infranto della separazione: qualcun altro seguirà il loro esempio? Giacché l’opinione pubblica dell’Italia mostra grande insofferenza per la macchina burocratica da Bruxelles, sembra pura utopia credere ancora nell’Unione, ancor di più nel progetto simil-federale di Spinelli, Rossi e Colorni. Stati Uniti d’Europa? C’è mai stata o ci sarà l’opportunità per un continente coeso e indipendente da altri Stati uniti? Oppure il nostro continente resterà sempre piccolo, alla mercé dei traffici umani e delle guerre fredde a migliaia di chilometri di distanza?
La risposta potranno conoscere i nostri nipoti sui libri di storia, quando allora i nodi sciolti e quelli ancora ben stretti saranno nella stessa rete, visibile e chiara a tutti. L’importante è affrontare gli orrori della guerra e lo smarrimento del popolo per il bene della comunità, non solo della propria nazione o, peggio ancora, dei tornaconti. Anche quei padri a Ventotene sapevano che quella dell’Unione Europea sarebbe stata un’impresa difficile non solo nella fondazione, ma nel mantenimento e nella preservazione dalla corruzione dei partiti politici. Allora come oggi.
La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.