Ragazzini che sparano contro altri ragazzini. Per servire le regole del clan, per dimostrare di essere all’altezza della situazione e di poter ereditare le redini dell’organizzazione criminale, per portare avanti “la tradizione di famiglia”.
Il tentato omicidio del figlio di Alessandro Giannelli, ferito a Cavalleggeri da due ragazzi in sella a una motocicletta, racconta molto di più di un semplice agguato di camorra e si spinge verso una strada che mira proprio in questa direzione.
Secondo gli inquirenti su quel veicolo c’erano Agostino Velluso, all’epoca maggiorenne da appena un paio di mesi, e un altro giovane, attualmente ricercato. Velluso esploso tre colpi di pistola per uccidere un coetaneo, figlio del leader di un gruppo criminale con cui la sua famiglia era entrata in contrasto. Una faida familiare cominciata quattro anni fa con una denuncia e poi proseguita con una serie di sparatorie fino ad arrivare, il primo maggio scorso, al tentato omicidio del figlio del boss.
Tutto ha inizio nel 2012, quando una donna accusa di estorsione e fa arrestare 14 persone tra Bagnoli e Cavalleggeri. La banda era composta da elementi che in passato avevano militato nel clan d’Ausilio: era il gruppo Giannelli, al cui vertice c’era proprio il trentasettenne all’epoca detenuto. Per quella faccenda il processo è ancora in corso. Agli inizi del 2016, con Giannelli sotto processo ma fuori dal carcere, esplode la violenza a Cavalleggeri. Una bomba carta scoppia davanti al bar gestito da un parente del pregiudicato e, in diverse occasioni, vengono esplosi colpi di pistola e kalashnikov contro le abitazioni di persone legate da vincoli di parentela alla donna che aveva fatto arrestare il gruppo. Si mischiano i vecchi rancori alle nuove guerre di potere che coinvolgono il trentasettenne e gli altri gruppi criminali che insistono sul territorio e che cercano di opporsi all’escalation dell’ex pupillo dei d’Ausilio, intenzionato a conquistare il quartiere dell’ex Italsider senza risparmiare sul piombo.
In quest’ottica, la morte di Rodolfo Zinco detto ‘o Gemello, uno degli ultimi pregiudicati di peso del quartiere, ucciso nell’aprile 2015, aveva rappresentato un colpo significativo alla mala storica del quartiere e un imminente cambio di rotta sullo scacchiere del potere camorristico. A luglio 2015 viene ferito a colpi di pistola un ventunenne indicato dagli investigatori come guardaspalle di Giannelli, mentre il gruppo cerca alleanze anche fuori quartiere legandosi col clan Mele di Pianura e sondando il terreno al Rione Traiano. Il 5 febbraio viene ucciso Pasquale Zito, a Bagnoli: si scoprirà poi che a premere il grilletto è stato un sedicenne, imparentato con Giannelli, per motivi di gelosia. Tre giorni dopo l’aspirante boss, ricercato per una estorsione a una concessionaria di Pianura e ormai indicato come scheggia impazzita coinvolta nel caos flegreo, viene arrestato in autostrada mentre correva verso Pesaro. A Cavalleggeri resta il figlio 17enne. Non è coinvolto negli affari del padre, ma il suo vincolo familiare, in certi ambienti, è un pretesto sufficiente: è in scooter quando lo affrontano e gli sparano; uno di loro, l’arrestato, è il figlio della donna che nel 2012 denunciò il gruppo Giannelli. Il sedicenne riesce a ripararsi in un bar vicino e a sfuggire alla morte.
Il giorno successivo, dall’ospedale posta una foto su Facebook che lo ritrae con il braccio fasciato e la scritta: «Infami, mi avete solo graffiato ma noi cammineremo sempre a testa alta». La camorra applicata ai valori e al credo delle nuove generazioni si combatte anche attraverso i social.