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Morte Ciro Esposito: le tracce che portano alla verità esistono, ma nessuno le segue

Luciana Esposito di Luciana Esposito
26 Luglio, 2016
in In evidenza, News
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Morte Ciro Esposito: le tracce che portano alla verità esistono, ma nessuno le segue
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resizeDaniele De Santis, l’ex ultras romanista condannato a 26 anni di carcere per l’omicidio di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli ferito gravemente da un colpo di pistola il 3 maggio 2014, poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli nei pressi dello stadio Olimpico capitolino e morto dopo un’agonia durata 53 giorni, “aveva elaborato un piano preordinato che prevedeva la provocazione contro un pullman di tifosi inermi”.

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Una premeditazione abbondantemente conclamata, fin dalle prime ricostruzioni. Tant’è vero che i tentativi di depistaggio ed occultamento della verità, avanzati da De Santis a più riprese attraverso una serie di ricostruzioni frammentarie, lacunose e assai vacillanti, non hanno convinto i giudici della terza corte di assise di Roma che nelle motivazioni alla sentenza di condanna sottolineano la conclamata e tangibile premeditazione dell’agguato messo a segno dall’ex ultrà romanista.

Per i giudici, De Santis non era solo al momento dell’aggressione al pullman, ma spalleggiato da almeno altre sei persone, tutt’oggi non identificate.

“E’ certo – si legge nelle motivazioni – che detti ‘supporters’ romanisti erano stati convocati da lui per organizzare un vero e proprio agguato contro l’invisa tifoseria partenopea, agguato cessato immediatamente quando, al termine della sparatoria, i tifosi napoletani accorrevano in numero soverchiante”.

La corte sottolinea come i fatti del 3 maggio 2014 costituiscano un “unicum”.

“In altri episodi – si legge nel provvedimento – mai si è fatto uso di armi da fuoco, giungendo al massimo all’uso del coltello, ma mai usato per uccidere, bensì sempre e solo con l’intenzione di procurare ferite superficiali, come quelle subite dall’imputato, appunto le ‘puncicate’. Ed è indubitabile che l’intensità del dolo dimostrato da De Santis, fino a lambire le forme della premeditazione, sia massima”.

“Egli, secondo la dinamica dei fatti – scrivono ancora i giudici – preordina in concorso con altri soggetti, un vero e proprio agguato e non solo si premunisce di bombe carta, ma anche di una pistola che porta appresso carica e con il colpo in canna, perché lo sviluppo e la progressione dell’agguato progettato è tale per cui egli prevede che possa determinarsi una situazione per cui debba sparare”.

Oltre all’ormai accertata dinamica dei fatti, a rilanciare la conclamata premeditazione è un fatto mai provato ufficialmente, ma, in prima battuta, divulgato dai supporters azzurri appartenenti alle tifoserie organizzate: l’agguato fu annunciato tramite una serie di messaggi diramati sui blog e i siti che gli esponenti delle tifoserie di tutta Italia utilizzano per “darsi gli appuntamenti”, ovvero, per lanciarsi provocazioni, insulti, messaggi in codice che molto spesso annunciano tafferugli, scontri e risse.

A Roma, quel 3 maggio del 2014, però, è stato diverso: i tifosi del Napoli non raccolsero quel “guanto di sfida”, tra i ragazzi delle curve serpeggiava, però, la notizia che i tifosi della Roma intendevano assalirli lungo il percorso che li avrebbe portati allo stadio e l’intenzione era proprio quella di “farci scappare il morto”.

Un messaggio diffuso in rete, lascia sempre una traccia. In questo caso, la traccia sembra essere sparita nel nulla.

Un sito, quello più battuto, in particolare, venne immediatamente oscurato poche ore dopo il ferimento di Ciro Esposito e le chat risalenti a quelle ore e a quel giorno sono svanite nel nulla. Così è stato anche per l’account facebook di Daniele De Santis, inspiegabilmente rimosso poche ore dopo l’agguato. “Stranamente” si trattava proprio dell’accout del quale “Gastone” si serviva per accedere ai suddetti siti.

Un fatto minuziosamente raccontato da più tifosi napoletani che non si conoscevano tra loro, nelle ore che seguirono il ferimento di Ciro e poi né negato né confermato, ma semplicemente avvolto in un lenzuolo d’omertà, per “proteggere” qualcuno o più semplicemente perché “dall’alto”, ovvero, da parte di chi comanda le curve, è arrivato l’ordine di tacere. E il gregge ha eseguito, senza battere ciglio, senza interpellare la propria coscienza.

Passato lo choc del dolore iniziale, nonostante il giorno dei funerali di Ciro a Scampia, intorno a mamma Antonella si era stretto un cerchio foltissimo di tifosi che avevano “visto e sentito”, pochi giorni dopo è calato il silenzio e accanto alla famiglia Esposito sono rimaste solo le persone che non temono di compromettersi mostrandosi dalla parte della giustizia.

Nel confusionario mondo del tifo organizzato funziona così: comandano loro, “i signori delle curve”, quei gradassi che dettano tempi e testi dei cori e come funesti direttori d’orchestra dominano l’impeto dei tifosi che affollano gli spalti. Comandano la curva e chi la vive e sono capaci persino di perforare il cervello di qui ragazzi per incutergli cos’è giusto e cos’è sbagliato, cosa va fatto e cosa no.

Un’autentica setta che, in nome della mentalità, pratica un sistematico lavaggio del cervello agli adepti per forgiarli ad immagine e somiglianza del credo che vede in “niente incontri, solo scontri”, “Heineken e tafferugli” e “ata cantà, amma sostenè” alcuni dei dogmi imprescindibili ai quali ispirarsi.

È così che il desiderio di giustizia per la morte di un ragazzo, un tifoso che “potevo essere io”, come hanno sostenuto in tanti all’indomani dell’agguato, viene offuscato e prevaricato dai “doveri” imposti dalla mentalità, da quella mentalità.

La forza d’animo di Antonella Leardi, la madre di Ciro Esposito, che da quel giorno non ha mai smesso di lottare per rivendicare verità e giustizia per quel figlio ucciso in un modo atroce, unitamente all’eco mediatico che ha accompagnato l’intera vicenda, hanno fatto il resto: una sorta di comodo scaricabarile per quelle coscienze che credono o fingono di credere che questo basti per assicurare a Ciro la giustizia che meritava, anche senza la loro testimonianza.

I fatti, oggi, invece, tornano a sottolineare che ci sono tante ombre intorno ai fatti avvenuti a Tor di Quinto quel sabato pomeriggio, troppe le circostanze, tutt’altro che irrilevanti, su cui si deve ancora far luce.

I complici di De Santis, non hanno ancora un volto né un’identità: almeno sei, secondo i dati emersi dal processo. Potevano essere anche più di 20, secondo le testimonianze di alcuni presenti sul luogo dell’agguato. Indossavano degli elmetti e esibivano un abbigliamento simile a quello dei militari: un esercito, un autentico esercito di soldati ai comandi del “fuhrer” Gastone.

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Già, perché De Santis, convinto ed invasato sostenitore delle ideologie dell’estrema destra, era uno sfegatato fan di Hitler, le innumerevoli fotografie che lo ritraggono nel suo “covo” lo dimostrano.

Probabilmente, De Santis aveva deciso di emulare il suo mito inscenando una prima azione dimostrativa volta a “sterminare” i napoletani, in quanto tali, perché da lui ritenuti una “razza” inferiore. De Santis sparava alla cieca, il suo intento era uccidere il maggior numero di persone possibile. Solo l’inceppamento dell’arma che stringeva tra le mani ha sventato uno sterminio. Il resto lo hanno aggiunto i tifosi napoletani presenti sul posto e che hanno malmenato De Santis dopo aver messo a fuoco che aveva sparato a “uno di loro”.

Il gruppo di facinorosi che spalleggiava il romanista, probabilmente, alla vista del folto e nutrito focolaio di supporters azzurri che inveiva pesantemente contro “la mente” dell’agguato, si sono dati alla fuga e questo lascia dedurre che le reclute adescate da De Santis possano essere piuttosto giovani e non è da escludere che Gastone li abbia attirati nel suo covo proprio servendosi del web per agganciarli, ma, inspiegabilmente, nessuno si mobilita per reperire le tracce lasciate in rete e che potrebbero effettivamente rappresentare i tasselli che mancano per costruire in maniera definitiva il puzzle.

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