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11 maggio 2008: il giorno in cui Ponticelli cacciò i rom dal quartiere

Luciana Esposito di Luciana Esposito
10 Maggio, 2022
in In evidenza, News
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11 maggio 2008: il giorno in cui Ponticelli cacciò i rom dal quartiere
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11255753_720466321432892_5951976185332113096_n111 maggio 2008: una data che ha sancito un punto di non ritorno per Ponticelli, scardinando definitivamente i di per sé labili equilibri che intercorrono nei rapporti di convivenza tra i rom e i cittadini italiani.

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Angelica, una 16enne di etnia rom viene accusata di aver tentato di rapire una neonata di sei mesi nel Rione De Gasperi, roccaforte del clan Sarno nel cuore del quartiere Ponticelli.

Una notizia che fece il giro del mondo, così come la testimonianza della madre del piccolo, l’allora 27enne Flora Martinelli: “Credo che siano cattivi, i rom devono andare via da qui“. Affermava in un’intervista rilasciata a “Repubblica”. Era una domenica sera, in una palazzina di quattro piani del quartiere di Ponticelli, la ragazza era riuscita a intrufolarsi nell’appartamento al secondo piano: “Le finestre erano tutte chiuse, forse la porta invece no, questo è un condominio familiare, e abbiamo sempre pensato che fosse sufficiente chiudere il cancello. Invece…”.

Questa la versione dei fatti fornita dalla Martinelli: “Erano le 8.10 di sera, a un certo punto ho notato la porta aperta e sono andata immediatamente in cucina: il seggiolone a dondolo, dov’era mia figlia, era vuoto. Si è trattato di pochi secondi, la ragazza che aveva preso la bambina era ancora sul pianerottolo: l’ho bloccata, le ho strappato la piccola. Lei è scappata, e io ho urlato chiedendo aiuto a mio padre che vive al piano di sotto.“ Ciro Martinelli, il nonno, prosegue il racconto: “L’ho bloccata, a dire il vero le ho dato anche un paio di schiaffi, ma la ragazza si è divincolata e ha detto che ad aspettarla in strada c’era suo padre. Allora l’ho seguita, pensando di potermi confrontare con un uomo, ma era falso. Mi è sembrata ben vestita e parlava abbastanza bene l’italiano”. La fuga della sedicenne rom che aveva tentato il rapimento, viene però impedita dal quartiere: “La gente è scesa in strada, ha sentito le nostre urla e non ha permesso che scappasse. A fermarla ci ha pensato poi la polizia”. La sedicenne fu arrestata per sequestro di persona e violazione di domicilio, e condotta al Centro di prima accoglienza di Nisida. La sedicenne si era allontanata da una comunità del Monte di Procida, alla quale era stata affidata il 26 aprile per un furto. All’epoca dei fatti, il quartiere di Ponticelli era circondato da cinque campi rom che accoglievano all’incirca 400-500 nomadi. La reazione popolare non si fece attendere.

La stessa notte dell’11 maggio cominciano le vendette.

La prima vittima è un rumeno non nomade. Ha una casa, non vive negli accampamenti, è un operaio. Lo aggrediscono in venti. Calci, pugni e una coltellata nella schiena. Dopo seguono gli incendi e le pietraie contro i campi rom del quartiere. Attaccano tutti: donne, bambini e giovani, su ordine dei Sarno. In 48 ore tutti i nomadi fuggono da Ponticelli.

Già, tutto sembra convergere verso una direzione inequivocabile, eppure, puntando i riflettori sulle vittime dell’accaduto, si scopre che la bambina è la nipote di Ciro Martinelli detto “O’ Cardinale”, esponente di spicco del clan Sarno, oltre che un personaggio molto noto nel quartiere, un autentico punto di riferimento.

Di lì a poco, emergeranno una serie di anomalie che fanno vacillare la versione dei fatti fornita dalla famiglia Martinelli: non era la prima volta che la giovane donna Rom si recava in quella casa, anzi, conosceva bene quella famiglia e quell’abitazione, ci era già entrata in precedenza, più volte, lo dichiareranno diversi testimoni. Flora era solita regalarle degli abiti usati. Ed è solo la prima di una serie di incongruenze che emergono dalle contraddizioni e dalle ricostruzioni contrastanti, ritrattate e riproposte da parte dei testimoni – reali e presunti – dell’accaduto.

Angelica, tuttavia, è stata condannata a quasi quattro anni di carcere nonostante le irregolarità e la mancanza di prove valide nel processo. Dietro quella sentenza, si intrecciano una serie di interessi politici e cittadini. E in tanti rilevano anche lo spettro della camorra.

Tre anni e otto mesi di prigione: è la prima condanna di questo tipo inflitta ad una persona di etnia nomade in Italia.

“Per tutto il processo i diritti umani di Angelica sono stati violati”: afferma il legale di Angelica, sottolineando che talvolta “la legge NON è uguale per tutti”.

Angelica è una giovane, troppo giovane per essere definita donna, 16 anni, gitana, priva di istruzione. Transita a Napoli in un momento storico cruciale: l’incipit dell’era berlusconiana, quando il capoluogo campano appare una città stanca di malgoverno e immondizia nelle strade, e vede nel cavaliere l’ancora alla quale arpionare le speranze di salvezza. È proprio all’ombra del Vesuvio che Berlusconi arraffa il maggior numero di voti.

Il ministro degli Interni è un fedelissimo di Bossi, Roberto Maroni e il suo obiettivo dichiarato è quello di restituire le strade agli italiani, riportare la sensazione di sicurezza, che tradotto in parole povere significa “pulizia etnica”.

“Violentano e uccidono le nostre donne, rapiscono bambini, aggrediscono anziani”. L’Italia vive l’”emergenza nomadi”: non c’è spazio per riferimenti alla criminalità organizzata, secondo Maroni la piaga da arginare per ripulire il Bel Paese è tutta lì.

La vicenda di Angelica e la vendetta arbitraria attuata da un gruppo di giovani che appiccò un incendio in un campo rom poco distante dal Rione de Gasperi, fanno il giro del mondo.

Alcuni tentarono di dipingere gli attacchi come una rivolta popolare contro i rom, come una spontanea battaglia tra poveri, mentre a Napoli e, in particolare tra le mura del quartiere Ponticelli, tutti lo apostrofarono come “un fatto di Camorra”.

Era la camorra a monitorare la presenza e le attività dei rom nel quartiere. Il clan imponeva delle tasse ben precise agli abitanti dei campi rom, sulle baracche, sulle persone, sulle attività, lecite e illecite. Il presunto sequestro avrebbe costituito la scusa per cacciare i rom e sancire nuovamente gli equilibri tra gli affari della camorra e il malcontento popolare. Gli abitanti del quartiere proprio non volevano saperne di convivere “con gli zingari”, intanto, “gli zingari”, alimentavano le casse della camorra.

Allora, urgeva una soluzione efficace: il “destino” ha voluto che Angelica cercasse di rapire proprio la nipote di un pezzo da 90 della camorra locale.

La donna che ha accusato Angelica del tentato sequestro di sua figlia, si chiama Flora Martinelli, ha 28 anni ed è figlia di Ciro Martinelli, di 57 anni, più conosciuto come “O Cardinal e O vescovo”.

Martinelli è un gregario del clan Sarno, il clan che domina Ponticelli. Il “curriculum” di Martinelli è piuttosto eloquente: nel 1999 fu condannato per associazione a delinquere. Anche sua figlia fu arrestata nel 2004 per falso ideologico commesso di fronte ad un funzionario ufficiale e falsificazione di documenti relativi alla ITV e di permessi di circolazione.

Angelica era arrivata in Italia dalla Romania da poco tempo. Andava sempre in giro con il fidanzato. I nomadi di Ponticelli, la conoscevano appena. Vivevano nascosti, si guadagnavano la vita rubando, mendicando e facendo commissioni. Angelica non era una ladra munita di particolare astuzia, nel giro di pochi giorni è ha subito due tentativi di linciaggio a Ponticelli. In entrambi i casi l’ha salvata la polizia.

Dopo il primo episodio, fu consegnata alla Comunità di Monte di Procida, una delle tante case famiglia che sono cresciute come funghi sul territorio italiano. Due o tre giorni dopo, scappa e torna a Ponticelli. Domenica 11 maggio 2008 si reca in casa Martinelli e accade quello che solo lei e la madre della neonata realmente sanno. Circa una settantina di persone cercano di lanciarla, la polizia la salva, anche stavolta, ma la reazione della popolazione è violenta e si ritorce sui campi rom del quartiere.

Eppure, quell’escalation si violenza, sembra basarsi su una bolla di sapone: quel tentativo di rapimento, forse, non si è mai verificato.

Nel rapporto conclusivo, la polizia ha espresso “fortissimi dubbi” sulla “veridicità” di ciò che è accaduto quel giorno.

Nel processo, O’ Cardinale e i suoi vicini hanno sostenuto che nessuno di loro vide Angelica con la bimba in braccio. La vide solo la mamma. Una testimonianza sufficiente per il magistrato Cirillo.

L’unica base della condanna di Angelica è la testimonianza della madre della bimba.

La parola di un’italiana contro quella di una rom: in un Paese come il nostro, è scontato quale sia la versione che al cospetto della legge, assume maggiore attendibilità.

Incredibile, paradossale, vergognoso, soprattutto in relazione alle plurime contraddizioni ed incongruenze che trapelano in maniera più che sfacciata dalla versione dei fatti della Martinelli. Tuttavia, secondo la magistratura e i giudici, la madre non aveva nessun interesse ad accusare la ragazza. E non lo avrebbe fatto se non ci fosse stato il tentativo di rapimento.

Nell’estate del 2015, a ridosso di quello stesso rione de Gasperi, accanto al terreno che accoglieva i campi rom che furono oggetto di quel cruento raid incendiario, è stata realizzata la prima opera di street art accolta a Ponticelli che ritrae il volto di una bambina rom.

untitled

“Ael. Tutt’ egual’ Song’ e criatur’”: questo il titolo dell’opera di street art che porta la firma di Jorio Agoch e che si ripropone di ripristinare una sorta di uguaglianza tra Popoli, partendo proprio dai tasselli più piccoli, i bambini.

Tags: angelicacampo rom ponticelliciro martinelliincendioo cardinaleponticelliraidrione de gasperiromtentativo di rapimento
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