Analogie ed anomalie tra realtà e finzione: uno dei temi più caldi in relazione al successo conseguito anche dalla seconda serie di “Gomorra”.
Tanti i personaggi nuovi, dai protagonisti agli interpreti di ruoli apparentemente secondari, ma che, invece, hanno saputo lasciare un segno profondo nella coscienza degli spettatori più attenti e sensibili.
Tra questi ultimi figura, senza dubbio, la storia di Marinella, la giovane e bella moglie di “Lelluccio”, il figlio della temibile Scianel, la donna-boss della fiction. In seguito alla reclusione in carcere del marito, Marinella vive praticamente in simbiosi con la suocera che la tiene segregata in casa, obbligandola ad uscire solo in su compagnia. Marinella s’innamora dell’autista di Scianel: un amore che decreta la condanna a morte del giovane, una volta che la temibile donna-boss scopre la tresca.
A spiegare quanto possa esserci di reale nella storia di Marinella è una ragazza di 21 anni, originaria di Melito, ma che attualmente vive a Volla.
Una cascata di capelli lunghi e corvini, occhi verdissimi, incarnato olivastro, lineamenti delicati e un fisico molto avvenente, un punto vita perfetto, seno e sedere molto generosi. La classica ragazza che non passa inosservata e che, quando cammina per strada, attira su di sé gli sguardi degli uomini come calamite.
Così accadde che, appena 15enne, viene adescata dal giovane rampollo di uno dei clan egemoni nell’area nord di Napoli, quel genere di famiglia al quale non fare scortesie. Il giovane aspirante boss di anni ne aveva 25, ma “comprò” quella ragazza, pur di farla sua.
Un padre in carcere per spaccio, una madre che “si arrangiava” lavorando a nero in un’impresa di pulizie per mantenere i figli, “quei figli che ti rendi conto che sono troppi, quando ti capita quel genere di “disgrazia” che porta tuo marito a finire in carcere”: la racconta così la sua famiglia la nostra “vera Marinella”, terza di cinque figli, unica femmina della famiglia, per volere del padre non doveva lavorare, a lei spettava il compito di occuparsi della casa ed assicurare un pasto caldo alla madre e ai fratelli di ritorno dai rispettivi lavori.
“Un giorno “ti piazzerai” con un pezzo grosso e ci sistemi a tutti quanti”: questa è la frase che mio padre mi ripeteva più spesso. Nella mia ingenuità, pensavo che per “pezzo grosso” intendesse un medico o un professionista affermato, poi cresci e capisci che i signori, le persone perbene, non si mescolano tra le gente come noi. Io non avrei mai potuto ambire a una vita “da signora perbene” perché ero la figlia di uno che era stato arrestato perché gestiva una pizza di spaccio nelle Vele di Scampia.
Quando fu arrestato, mio padre lanciava baci alla gente e verso i giornalisti: quando vidi quelle immagini e quelle foto capì che cos’è la vergogna, ma non ho potuto mai confidarlo a nessuno, perché nessuna delle persone che mi circondava poteva capirmi.
Quando ho conosciuto lui ero ancora una bambina, per il fatto che non mi era permesso di uscire molto, a parte un bacio a stampo con un mio compagno di scuola, non avevo mai avuto un approccio con un uomo.
Mi vide mentre ero in un negozio d’abbigliamento con una mia amica, entrò per dire alla commessa che tutto quello che avrei preso, lo avrebbe pagato lui e andò via. Questa cosa mi sorprese, ovviamente, ma mi fece anche un po’ paura. Mi aspetto all’uscita del negozio, in sella alla sua moto, si avvicinò e disse alla mia amica di andarsene perché mi avrebbe accompagnato lui a casa. Invece mi portò a Mergellina e rimanemmo a baciarci sul lungomare quasi fino all’una di notte.
Quando tornai a casa, mia madre mi prese a botte e mi disse di non farlo più. Iniziò un braccio di ferro tra le regole che la mia famiglia mi ha sempre imposto e il desiderio di possesso di lui che, invece, diceva che dovevo fare quello che diceva lui. Cambiò tutto di me: le mie abitudini, il mio modo di vestire, voleva che sembrassi più grande di quello che ero, perché diceva che se si capiva che non ero maggiorenne, lui poteva passare un guaio.
Quando mia madre seppe chi era il ragazzo che frequentavo, mi chiuse in casa e a turno lei e i miei fratelli mi sorvegliavano, non mi permettevano di uscire.
Lui non si arrendeva, anzi, credo che il fatto che qualcuno pensava di poter avere la meglio sulla sua volontà lo fece incattivire ancora di più: un giorno si presentò a casa mia e disse a mia madre che era disposto a “comprarmi” e che poi quando avrei compiuto 18 anni mi avrebbe sposata. Non lo so quanti soldi ha offerto alla mia famiglia, non l’ho mai saputo, non ho mai voluto saperlo, so solo che mia madre disse che la decisione spettava a mio padre e che non appena sarebbe andata a colloquio da lui in carcere gliene avrebbe parlato.
Era “la grande occasione” che mio padre aveva sempre sognato per me: ecco il “pezzo grosso” pronto perfino a sborsare soldi per avermi. Un salvagente troppo facile al quale aggrappare le difficoltà economiche della mia famiglia.
Una domenica si e una domenica no andavamo a pranzo a casa di mia madre e io potevo andare a farle visita tutte le volte che volevo, tranne la sera e quando lui non lavorava. Poi lo hanno arrestato e per suo volere sono rimasta a vivere con i suoi genitori. Sua madre era molto simile a Scianel caratterialmente, infatti, mi hanno molto impressionato le scene in cui trattava male Marinella e le diceva che era un “onore” per lei essere la donna di suo figlio. Mi sono rivista in lei, in quelle scene che avevo vissuto sulla mia pelle. Lei con me, però, faceva di peggio: mi usava come alibi per incontrarsi con i suoi amanti e mi diceva che se lo raccontavo a qualcuno mi tagliava la gola. Ragazzi dell’età del figlio, gigolò con i quali andava a letto nella loro casa al mare. Al marito mi faceva dire che ero io che avevo voglia di andarci e lei faceva come se mi facesse quasi un favore, fingeva pure di scocciarsi di accompagnarmi.
Marinella ha avuto coraggio e forse anche la fortuna di incontrare un ragazzo diverso, di cui innamorarsi. Per quattro anni non ho incontrato un mio coetaneo, non ho mai parlato con persone diverse dai suoi e dai miei familiari. Ogni tanto, quando andavo a casa di mia madre, incontravo qualche mia amica, ma non riuscivo neanche a pensare di frequentare un altro ragazzo, avevo troppa paura di quello che potesse succedermi.
Lui è uscito dal carcere quando avevo 19 anni ed era cambiato completamente: violento, aggressivo, sempre più cattivo e distaccato. Usciva da solo la sera, rientrava nel cuore della notte e mi obbligava ad avere rapporti sessuali. Più di una volta è capitato che mi ha svegliato strappandomi il pigiama e la biancheria intima. La mia volontà non contava niente, seppure gli chiedessi di fermarsi, non serviva a niente, anzi, lo eccitava di più. Diceva che io ero una cosa sua, perché mi aveva comprata e poteva fare quello che voleva con me, con il mio corpo. Mi umiliava, mi trattava male, mi decideva e mi mortificava, sempre più spesso, anche in presenza di altre persone. Una volta mi ha riempito di botte perché non gli piaceva il vestito che indossavo.
Guardavo il film di quella che sarebbe stata la mia vita provavo orrore, ho pensato tante volte di uccidermi, perché nel suicidio vedevo l’unica soluzione possibile per salvarmi la vita.
Invece, un anno fa, è stato lui a mettermi alla porta, nel vero senso del termine: un giorno mi disse che si era stancato di me, che era stanco di portarsi le donne in albergo, quando poteva godersi casa sua e che per me non provava più né sentimenti né attrazioni. “Mi sono sfiziato ‘e tutt’ maner’ cu te – mi sono divertito in tutti i modi possibili con te – ora ti posso anche buttare” mi disse, ridendomi in faccia.
Dopo un’adolescenza violata e violentata, ti ritrovi da sola, a 20 anni, a riprenderti in mano la tua vita: è stato un momento illuminante per me, in un attimo ho visto davanti a me una montagna con tutti gli errori e tutti gli sbagli che non voglio più ripetere.
Ho scelto di chiudere i rapporti anche con la mia famiglia, se così si può definire un “nucleo” che ti vende in cambio di soldi.
Ho scelto di trasferirmi dall’altra parte della città, infatti adesso vivo a Volla. Per orgoglio, a lui non gli ho chiesto soldi, ma non potevo andare via senza un centesimo in tasca. Ho portato via un po’ di gioielli e li ho venduti, per poter contare su un gruzzolo che mi permettesse di mantenermi almeno per i primi tempi, fino a quando non avrei trovato un lavoro. La fortuna mi ha assistito, infatti, ho subito trovato un piccolo appartamento e con i soldi ricavati dalla vendita dei gioielli, ho pagato caparra, affitto, queste cose qua. All’inizio dormivo a terra non avevo i soldi nemmeno per il letto. Poi, un po’ grazie all’aiuto dei vicini che vedendomi sola e ragazza, mi danno sempre una mano, un po’ perché sono riuscita quasi subito a trovare lavoro, sono riuscita a costruirmi una vita decente.
Alle persone che incontro oggi dico che i miei genitori sono morti e che ho deciso di trasferirmi altrove perché i ricordi dove vivevo prima fanno troppo male.
L’aspetto più bello della mia nuova vita è proprio questo: sono libera in tutto e per tutto, anche di raccontare storie fantasiose sul mio passato.”