Il questore di Palermo Guido Longo ha disposto che vengano vietati i funerali per il boss Bernardo Provenzano. La decisione è stata presa per motivi di ordine pubblico, come già avvenuto in passato per altri casi analoghi. I familiari del capomafia, ha spiegato il questore, potranno accompagnare in forma privata la salma del congiunto nel cimitero di Corleone, ma senza che si svolga la cerimonia funebre in chiesa. Una decisione destinata a dare l’impennata alle polemiche che la morte del boss ha suscitato, in particolare sui social dove, come è ormai abitudine, ci si divide tra chi invoca la pietas per i morti e chi invece gioisce in nome del giustizialismo più oltranzista.
C’è chi dichiara di non volere le spoglie a Corleone (sua città natale) e chi nemmeno in Sicilia. Chi ne approfitta per chiedere che non sia seppellito né a Firenze né a Massa Carrara. Qualcuno, più ardito, si lancia in commenti piuttosto duri: “Bisognerebbe disperdere le sue ceneri, in un brutto posto… – si legge su Facebook – Rammento che per mano sua, sono sparite un sacco di persone, che non hanno potuto avere nemmeno una degna sepoltura…”. “Concordo – gli fa eco un altro – e concordo che i funerali siano con divieto di essere pubblici, solo privati e all’alba”.
E c’è chi s’indigna. “Sono abbastanza scossa da tutti questi commenti così privi di qualsiasi ‘pietas’. Si potrebbe ribattere che lui non ne ha avuta in vita, ma non è una buona scusa. Inoltre: vietare qualcosa è sempre un segno di enorme debolezza. Uno stato serio e saldo lascia che i vivi seppelliscano i loro morti”. E chi di pietas non ne vuol sentire parlare. “Chi è disprezzato da vivo – si legge sempre su Facebook – lo sarà anche da morto. Anzi, è proprio con questa consapevolezza che questi figuri devono accompagnarsi, lungo il cammino che li porterà lì, dove toccherà ad ognuno di noi”. Al dibattito virtuale si aggiunge un magistrato del pool antimafia. “È morto Bernardo Provenzano. Una persona che ha commesso tanti omicidi e traffici illeciti, e tante altre cose che non basterebbe questa pagina. – scrive – Non lo conoscevo. Non gioisco, non l’ho mai fatto, mi pare barbaro”. “Mi sento pure di dire che lo Stato italiano avrebbe potuto, in questi ultimi anni, marcare la propria differenza. Far sentire, nel momento in cui Provenzano ‘non ci stava più con la testa’, la differenza tra uno Stato di diritto, che applica le norme, anche nei confronti di un mafioso – e dunque, se uno non ragiona e non comunica, non può essere pericoloso – e le belve di Cosa Nostra, che le regole le fanno solo a loro uso e consumo, calpestando sempre la vita umana”. “Ed invece – conclude – si è voluto continuare ad applicare il 41 bis ad un uomo già morto cerebralmente, da tempo. Con ciò facendo nascere l’idea, in alcuni, che la Giustizia possa essere confusa con la vendetta. O che il diritto non è uguale per tutti”.