Grande protagonista anche della Seconda serie di Gomorra, Marco Palvetti ha partecipato alla XIV edizione dell’Ischia Film Festival in veste di membro della giuria.
Un ruolo e un personaggio tutt’altro che facili da interpretare quelli riconducibili a Salvatore Conte, un boss dalla personalità difficile da decifrare e che non ha mai smesso di sorprendere i fan della fiction.
Marco, napoletano, nato 28 anni fa a Pollena Trocchia e protagonista di un prodotto cinematografico che pone al centro della scena la camorra, racconta così i luoghi che ha vissuto con gli occhi di Salvatore Conte: “Non ho girato tantissimo a Scampia, non è una zona che bazzico di mio, in quanto Marco. L’ho vissuta di più durante la seconda stagione, tutta la prima riguarda la Spagna, la Francia e altre zone. Innestata all’interno del lavoro, posso dirti che la gente accoglieva la nostra presenza, anche perché c’era un ritorno, dal punto di vista del lavoro e potevano fare qualcosa di diverso.”
Cosa può fare il cinema per il riscatto delle “terre di camorra”?
“Può fare proprio questo: dare una possibilità, non solo espressiva, ma pratica e lavorativa. Può concorrere a creare quella possibilità di scelta per poter esprimere qualcosa che ti porti dentro. Il cinema può contribuire al riscatto di quei luoghi aprendo il mondo a determinati altri ambienti e location. Allora, un cinese può svegliarsi domani e decidere di raccontare una storia lì. Potrebbe essere una possibilità. Il cinema può presentare gli ambienti, generazioni di attori, di registi e soprattutto un potenziale qualitativo molto alto: location, professionalità.”
La tua speranza, in quanto Marco, è che un ragazzo guardando “Gomorra” possa dire: “Non voglio fare il camorrista, ma l’attore..”?”
“Non si tratta di speranza, ma di predisposizione. Se faccio una foto e poi dopo la mostro a qualcuno, quel qualcuno la guarda e in maniera soggettiva vede qualcosa piuttosto che qualcos’altro, ma quello sta alla predisposizione individuale. Se dentro ti porti determinate cose, puoi arrivare a dire: “quella roba mi piace” oppure “quella roba non mi piace”, in mezzo poi ci sono le sfumature: ci può essere la scoperta, ci può essere: “mi piace, ma boh!”, “non mi piace, ma chissà..”
Pertanto, un lavoro del genere deve essere fatto dalle istituzioni, preparando un ragazzino a vedere determinate cose e non mi riferisco solo a “Gomorra”. Porto l’esempio di Batman: un uomo che vola sui palazzi, se lo guarda qualcuno a cui piacciono i pipistrelli, dentro di lui dopo potrebbe scattare il fenomeno dell’emulazione. Tutto sta nella predisposizione personale che alberga nello spettatore. Sta alla famiglia, alle istituzioni, all’educazione. Se è vero che in qualcuno scatta un certo tipo di fenomeno, molti altri, invece, hanno ben chiaro che non vorrebbero mai avere la vita di nessun personaggio della serie. Non c’è alcun messaggio in Gomorra. Su tutti i personaggi di Gomorra c’è il destino, che sta al di sopra, che li ammazza tutti. Questo è quello che dovrebbero mettersi a spiegare nelle scuole. Fate parlare i ragazzi, consentitegli di tirare fuori quello che hanno dentro.”