Potrebbe definirsi “il professore più famoso d’Italia”, tuttavia, all’alba dei 60 anni, l’attore Silvio Orlando, napoletano doc, vanta una carriera ricca di pregevoli pellicole ed autorevoli riconoscimenti che lo collocano tra gli attori di maggiore spessore esibiti dal cinema italiano nell’ultimo trentennio.
La presenza di Silvio Orlando ha impreziosito e non poco il parterre di attori che hanno animato la XIV edizione dell’Ischia Film Festival.
Nell’ambito del festival che pone al centro della scena le location cinematografiche, l’attore partenopeo si è prestato a fornire il suo punto di vista sulle “terre di camorra”:
“Quelle di cui parliamo, con riferimento alla periferia orientale, sono zone ex operaie. Negli anni ’80 sono state chiuse tutte le industrie e alla gente è stato detto: “arrangiatevi” e il terremoto, a sua vota, ha generato mostri che hanno generato mostri che hanno generato mostri su mostri.
La camorra è madre e figlia della miseria.
La gente lo sa che quella non è una strada, ma in mancanza di alternative, quella diventa l’unica strada percorribile. Forse la situazione peggiorerebbe addirittura se “fallisse” anche la camorra. Difficile immaginare quale scenario potrebbe delinearsi. Una forma di guerra civile a bassa intensità quella della camorra, generata da motivi sociali e dalla mancanza di progetti soprattutto su quei territori. E alla fine, la nostra diventa quasi una colpa, perché “ci rifugiamo” dove possiamo sentirci al sicuro. Tutt’oggi ho chiesto in giro: “quale era il ruolo che doveva avere il Sud nello Stato italiano?” E nessuno mi sa rispondere.
Roma ha una funzione amministrativa, Torino è l’area industriale e il Sud non si è capito quale ruolo assume e non solo per l’espoliazione delle nostre risorse, la manodopera a basso costo e per tutto quello che di malvagio è stato inferto al meridione.”
Qual è il contributo che il cinema può dare in termini di riscatto delle “terre di camorra”?
“È importante raccontare e non voltarsi dall’altra parte, facendo finta di niente e cercare un punto di vista forte, dal quale trapeli una forma di riscatto.
Il compito del cinema deve essere anche quello di dare risalto alle persone che si fanno onore vivendo onestamente e non inseguendo la sirena del facile guadagno o di quella che molto spesso è semplice disperazione e “istinto di sopravvivenza”.
Pensando alle “classiche” pellicole di genere, come “La Piovra” che aveva al centro della trama il commissario Cattani, che era l’eroe a tutti gli effetti, nelle nuove rappresentazioni, invece, l’eroe non c’è. Non credo che scatti un’emulazione positiva, perché quello che emerge è il degrado umano di chi delinque, però è una forma di sdoganamento che un po’ alla volta si normalizza. Quel modello diventa simpatico, “sexy”. Quei personaggi diventano in qualche modo attraenti, allora, un ragazzino che non pensa alla sopravvivenza o che quella condotta in qualche modo può portarlo all’autodistruzione, si sente “immortale”: squallore per squallore, disperazione per disperazione, sceglie di dire la sua, sceglie di “seguire una moda”.
C’è da dire che un contributo importante, in questo senso, lo dà anche quell’impazzimento generale che c’è dappertutto, ed è quello che passa attraverso i messaggi, i desideri che abbiamo tutti in testa. Chi non dispone degli strumenti mentali necessari per capire le cose, impazzisce. Impazziscono tutti: i ragazzini a 15-16 anni esistono solo se hanno quello che desiderano, vogliono quel giubbino piuttosto che quel paio di scarpe. Se non hanno le cose che desiderano, le devono avere: o le hanno o le hanno, non esistono alternative. E questo meccanismo, in determinati contesti, innesca quel certo tipo di percorso.
A prescindere dal cinema, bisogna creare lavoro per consentire a quelli che vogliono scegliere di avere una scelta.”