Caso Yara: Massimo Bossetti è stato condannato all’ergastolo. La sentenza della Corte d’Assise di Bergamo è arrivata dopo oltre nove ore di camera di consiglio.
“Sarò un ignorantone, ma non sono un assassino. Vi supplico, rifate il Dna”. E’ stato questo l’ultimo appello che Bossetti ha rivolto ai giudici della Corte d’Assise di Bergamo prima che si ritirassero in Camera di consiglio, dalla quale sono usciti con il verdetto nei confronti dell’unico imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, la bambina uccisa a Brembate di Sopra il 26 novembre 2010, e ritrovata priva di vita il 26 febbraio 2011 in un Campo di Chignolo d’Isola.
La vicenda di Yara è stata sin da subito un caso mediatico , dopo indagini lunghe e complesse, terminate con l’arresto di Bossetti il 16 giugno 2014. E solo pochi giorni fa i giudici hanno inflitto al carpentiere di Mapello il massimo della pena, riconoscendo anche l’aggravante della crudeltà. Inoltre la corta ha stabilito anche che Bossetti dovrà risarcire i genitori di Yara con 400 mila euro a testa e i fratelli della giovane vittima con 150 mila euro ciascuno.
Massimo Bossetti, che si è visto tolta anche la patria potestà, è stato invece assolto dall’accusa di calunnia e non dovrà scontare un periodo iniziale di 6 mesi in isolamento, come chiesto dal pm.
Dunque, possiamo dire adesso che è stata fatta giustizia per la piccola Yara? Per Bossetti l’intera accusa è costruita soltanto su «indizi e pettegolezzi per influenzare l’opinione pubblica»: «E che dire del Dna che sarebbe una prova regina? Quel benedetto Dna mi esce dalla testa dopo 45 udienze. Ho sempre detto che quel Dna non può essere il mio. Ripetete l’esame e vedrete che non sono stato io. Vi supplico, v’imploro. Se fossi colpevole sarei un pazzo a chiedervi una cosa così. Quando mai un imputato colpevole vi chiede di ripetere il test? Mai».
Bossetti si è dichiarato innocente fin dal momento del suo arresto, e in questi due anni non ha mai cambiato la sua versione dei fatti, ribadendo costantemente la sua estraneità ai fatti, ma A7a puntare il dito contro il carpentiere ci sono le fibre tessili sul corpo di Yara, compatibili con il tessuto dei sedili dell’Iveco Daily, le microsfere di metallo usate nell’edilizia trovate sotto le sue scarpe e la calcina nei polmoni. Per contro, non è emerso né prima, né durante il processo un movente chiaro: la parte civile ha ipotizzato l’aggressione a sfondo sessuale, la pm è stata più prudente.
Manca inoltre l’arma del delitto, non si sa come Yara sia stata portata via dalla palestra. E ancora: Bossetti e Yara si conoscevano? Il muratore giura: «Mai vista in vita mia». Però c’è una signora, Alma Azzolini, che davanti ai giudici ha riconosciuto il manovale come l’uomo che, una mattina di agosto 2010, aspettava una ragazzina nel parcheggio del cimitero: aveva l’apparecchio ai denti, lunghi capelli mossi e quando alla testimone viene mostrata una serie di foto di Yara dice sicura: «Sì, è lei». Questo ricordo però, riemerge a distanza di anni, troppi secondo la difesa per ritenerlo attendibile.