Un trend al quale Annunziata D’Amico, alias “la passillona”, ha dato ufficialmente avvio, prendendo in consegna le redini dell’omonimo clan, il cui quartier generale è radicato tra le mura del Rione Conocal di Ponticelli, in seguito all’arresto di suo marito, Salvatore “Cernobyl” Ercolani, e dei fratelli Antonio e Giuseppe.
Un’autentica scalata ai vertici del potere criminale, quella attuata dalle donne imparentate ai gregari finiti dietro le sbarre o morti per mano dei clan rivali. L’affermazione della figura femminile nelle inedite vesti delle “boss” è tutt’altro che frutto di suggestioni cinematografiche e trova ampio e concreto riscontro anche nell’ambito degli arresti maturati durante la notte di domenica 19 giugno proprio nel Rione Conocal. A finire dietro le sbarre, in seguito al maxi-blitz messo a segno da oltre 300 uomini in divisa, tra i 90 arrestati, figurano anche e soprattutto le donne subentrate ai vertici del clan D’Amico in seguito all’agguato costato la vita alla passillona.
C’è Carla D’Amico, sorella di Annunziata, Antonio e Giuseppe, una giovane donna che fisicamente somiglia molto alla compianta passillona.
Carla si divide tra struggenti ricordi e pensieri d’amore diramati attraverso i social, rivolti a quella sorella “volata in cielo” per mano dei sicari, e la gestione dei traffici illeciti. Inquadrata tra le figure al vertice dell’organizzazione, è lei il capo della piazza di spaccio dove si smista cocaina in via al Chiaro di Luna e via Palermo.
A dispetto del ruolo di spessore ricoperto all’interno del clan, sui social si presenta come una figura molto provata dal dolore, ma che non intende invertire la rotta e continua, quindi, a traghettare il clan di famiglia verso il consolidamento del potere criminale tra le mura della periferia orientale di Napoli.
È Carla ad occuparsi dei cinque figli della passillona, mentre il primogenito è detenuto in carcere, a Caserta. Annunziata fu freddata dai killer proprio al rientro dal colloquio con quel figlio detenuto che non vedeva da mesi. Gli altri cinque, due femmine, tre maschi, minorenni, bambini, già gregari del clan, inneggiano alla camorra e, al contempo, piangono per l’assenza di una madre giustiziata da quella stessa camorra, incapaci di comprendere la conflittualità alla base di quel trambusto di emozioni imposte da una vita segnata dal credo criminale.
E poi c’è il più piccolo dei figli della Passillona: Mario, un vero bambolotto, occhi azzurro ghiaccio, viso paffuto, pochi mesi di vita. Sottratto alle braccia della madre prima ancora di imparare a pronunciarne il nome, l’ultimo discendente della dinastia dei D’Amico personifica il sentimento emblematico di devastante distruzione che solo e soltanto la camorra sa imbastire nella vita dei suo affiliati e, di riflesso, in quella delle persone che, incapaci di scegliere, si ritrovano costretti ad imparare a destreggiarsi tra le macerie di una vita segnata dai “danni” arrecati da quella bomba ad orologeria incastonata nei loro destini.
“Io e te da sempre una cosa sola! Hai portato con te la mia voglia di vivere, se ho ancora un minimo di forza e per farti vedere da lassù i tuoi cuccioli con il sorriso! Sono loro la mia forza, e tu me ne dai tanta perché lo so che non mi abbandoni mai ti sento al mio fianco…Ti amo pasy mi manchi!”: la ricorda così, Carla, sua sorella Nunzia, in uno degli ultimi post pubblicato su facebook prima dell’arresto di domenica scorsa.
“Oggi saresti stata Santa, ma tu lo eri tutti giorni ed ora che sei lì su lo sei ancora di più, più passano i giorni e più mi rendo conto di quanta forza avevi nel prenderti cura dei tuoi cuccioli ed anche per noi, mi manchi così tanto giorno dopo giorno tanti auguri amore mio”: così, invece, le augura “buon onomastico”.
“Avevi promesso che stavamo io te sempre assieme ma non è stato così, te ne sei andata hai portato con te un prezzo del mio cuore tu sorellina mia adesso che stai vicino a mamma devi proteggere i tuoi figli loro che avevano ancora bisogno di te, tutti avevamo bisogno di te tu il nostro pilastro tu la mia sorellina tu il mio sangue mi manchi tanto tanto rip in Pace”: queste le prime parole diramate da Carla, poche ore dopo l’agguato che ha trucidato la vita della Passillona.
Dopo la morte di Nunzia D’Amico, tuttavia, in maniera assai più preponderante, un’altra donna, Anna Scarallo, moglie di uno dei “fratelli Fraulella” e pertanto cognata della passillona, ha fatto irruzione sulla scena criminale, conquistando un posto solido nella cabina di regia del clan.
Anna, fin da subito, ha saputo attirare su di sé l’attenzione dei mediatica: dopo l’arresto di domenica notte, quando esce dalla caserma indossa una t-shirt assai eloquente che esibisce la stampa delle tre scimmiette e la scritta: “Non vedo, non sento, non parlo”, regole basilari ed imprescindibili alle quali un uomo e anche una donna d’onore devono sapersi attenere.
Anna, come una vera “Scianel”, ama esibire un look esuberante e curato, una “donna moderna” che va in giro con le amiche, le figlie e “gli amici” non disdegnando di frequentare i luoghi più acclamati della movida partenopea. Dal lungomare Caracciolo al concerto di “Tony Colombo”: foto di routine quotidiana postate sui social e che la raccontano come una “donna ordinaria”, una delle tante che animano le strade dei quartieri popolari di giorno e i privè più quotati della Napoli by night di sera. Foto che, in realtà, celano una boss reggente del clan D’Amico che, insieme a Carmine Aloia e Carmela D’Amico, è a capo di una delle piazze di spaccio più prolifere del rione: marijuana e cocaina, in via al Chiaro di Luna e in piazzetta Padre Pio. Mentre a Scarallo Nunzia spetta il ruolo di “custode del clan”, evidentemente Anna ha voluto che a ricoprire quella mansione vi fosse una sua “donna di fiducia”. Analoga sorte per Rosaria Scarallo e suo marito, Ciro Perrella, chiamati a gestire una piazza di spaccio di marijuana. Carmela Ricci, un’altra donna, alla quale spetta un altro ruolo cruciale: “la cassiera”, è lei che deve “pagare la mesata” agli affiliati.
È lì che si spaccia la droga, lungo le strade e tra i parchi dove giocano i bambini degli altri abitanti del rione, mentre i loro figli sono già piccoli e fedeli adepti forgiati a immagine e somiglianza del credo e delle esigenze del clan.
Anna Scarallo, una donna, una boss, capace di imporre a quel doppio ruolo di coesistere nella vita reale e anche e soprattutto attraverso i social.
Proprio attraverso i social, Anna lascia emergere in maniera tanto imponente quanto disinvolta, quella sua indole di “boss”.
Anche lei, come molti fedelissimi del clan D’Amico, esibisce quel soprannome tatuato sul braccio destro: “Fraulella”.
La figura di Anna Scarallo personifica ed assembla diversi tratti peculiari e distintivi della più moderna evoluzione del gergo e del modus operandi della camorra, quella che sa come servirsi anche dei social per diffondere messaggi subliminali, rivolti ai gregari, per consolidarne il senso d’appartenenza al clan e, al contempo, “impressionare” i rivali.
Foto pubbliche, quelle di Anna, svincolate da limitazioni volte a garantire quel genere di privacy imposta dal senso del pudore o che animano le gesta di chi “ha qualcosa da nascondere o da temere”.
Tutti devono vedere le foto in cui Anna “troneggia su certe piazze” del rione Conocal: foto semplici, apparentemente innocue, ma assai eloquenti che attestano il controllo e la supremazia su quel territorio.
“Quelle sono le sue piazze e là comanda lei.”
Un messaggio rafforzato dalle “solite” emoticon: bombe, pistole, siringhe. E vari ed eventuali simboli che pompano e galvanizzano quel dilagante delirio d’onnipotenza, accompagnati da crude “frasi ad effetto”.
Foto in cui mostra Salvatore De Bernardo, – anch’egli arrestato nell’ambito del maxi-blitz di domenica notte – nel pieno esercizio delle sue facoltà: in sella al suo scooter, in compagnia di un altro “scagnozzo”, pronto a mettere in moto il mezzo per servire il clan.
“Noi siamo nati per lottare e conquistare”, frasi che inneggiano alla camorra, in maniera più o meno esplicita, volte puntualmente a sottolineare i dogmi imprescindibili ai quali attenersi: fedeltà, omertà, coraggio, rispetto, l’utilizzo delle armi e della violenza per centrare l’obiettivo e vincere “la battaglia”.
Foto scattate dal balcone, per condividere quella prospettiva “dall’alto” che può mostrare il rione come se fosse “ai suoi piedi”.
Scene che si frappongono a quelle di “apparente normalità” e che ritraggono la Scarallo in compagnia dei cantanti neomelodici assai in voga tra le “guagliuncelle” dei rioni e soprattutto quelle che mostrano il suo “cuore di mamma”. Soprattutto queste ultime immagini sanno innescare quel processo che in maniera inconsapevole tramuta l’ammirazione in un servile senso di rispetto e abnegazione. Uno subdolo e invisibile filo ammaliatore capace di circuire anche figure lontane dal sistema criminale.
Ragazzine che “per una foto con Alessio o con Anthony sono disposte a fare pure qualche cattivo servizio.”
Questo è il “contributo” conferito alla “camorra fatta dalle donne” da Anna Scarallo, una donna-boss, fin troppo simile a Scianel, nell’indole, nell’estetica, nelle gesta.