Uccisa come Donna Imma Savastano, giustiziata come un vero boss, Annunziata D’Amico, detta “la passillona”, sorella di Antonio e Giuseppe “Fraulella”, dopo gli arresti di questi ultimi, ha assunto le redini del clan di famiglia, dando avvio, di fatto, a una nuova era, oltre che a un nuovo modo di “fare la camorra” all’ombra del Vesuvio.
Il teatro che funge da quartier generale di quello che sotto le direttive delle donne di casa D’amico è andato sempre più delineandosi come un nuovo e sempre più anaffettivo impero del male, è il Rione Conocal: roccaforte di “Fraulella” e dei suoi fedelissimi adepti, il contesto, quel contesto, è un delle poche varianti rimaste immutate, nell’ambito di un assetto criminale affinatosi sotto il comando della Passillona, per poi passare nelle mani delle altre donne del clan che hanno saputo dimostrare sul campo come e quanto il personaggio di “Scianel”, balzato agli onori della ribalta nell’ambito della seconda serie di Gomorra, sia tutt’altro che frutto di artificiose suggestioni cinematografiche.
Legata sentimentalmente a Salvatore Ercolani, detto Cernobyl, latitante dal 29 aprile del 2013 e tratto in arresto nel marzo del 2014, la Passillona, anche e soprattutto in seguito alla cattura del suo compagno, al quale fece seguito un altro maxi-blitz che portò all’arresto di 52 affiliati esattamente un anno dopo, si vide legittimata a salire in cattedra per impartire direttive al clan.
L’arresto di Ercolani, considerato boss al vertice del clan “Circone-Perrella-Ercolani“, segnò una delle notti più turbolente della storia del rione Conocal: quando i carabinieri fecero irruzione nel suo appartamento, il latitante tentò la fuga salendo sui tutti, cercando di rifugiarsi nel caseggiato accanto.
Annunziata D’Amico, madre di sei figli, quattro maschi e due femmine, morta a 40 anni in un agguato maturato lì dove fa più male: sotto casa, nel cuore del bunker del clan. Uccisa un sabato mattina dello scorso ottobre, intorno alle 13, di ritorno dal carcere di Caserta, dove era andata a fare visita a uno dei suoi figli. S’intrattiene a fumare una sigaretta con i vicini che gli chiedono notizie del colloquio, Annunziata chiede un bicchiere d’acqua, ha sete. In un lampo, giungono i sicari, con il volto coperto. Sparano. La passillona tenta un disperato tentativo di fuga, nascondendosi tra le auto parcheggiate a ridosso del cortile, ma è fin troppo facile per i sicari raggiungerla e “finire il lavoro”.
Giustiziata come un boss, fino alla fine, Annunziata D’Amico, ha agito come un boss: “fatti guardare in faccia, fammi vedere chi sei!” urlava contro i suoi sicari. Queste sono state le sue ultime parole.
Secondo Maria Grandulli, una delle collaboratrici di giustizia della zona, «Annunziata era il vero e proprio capo della famiglia D’Amico». Gestiva l’arsenale di famiglia, le imbasciate, le “bussare di porta” e molto altro: ma non è per questo che l’hanno uccisa.
“Niente soldi ai nemici”: la passillona non voleva pagare le tangenti al clan rivale. Né per le piazze di spaccio né per il controllo delle altre attività illecite. A quelli del rione De Gasperi aveva lanciato quel genere di sfida che si regola proprio così: a suon di pistolettate.
L’egemonia della passillona era insistentemente sottolineata dal via vai di ragazzi in scooter nei pressi di via Flauto Magico, giustificata dalla necessità di rifornimenti di mitra e pistole detenuti in casa sua. E non solo.
Soprattutto negli ultimi tempi, la passillona in qualche modo presagiva che il suo status di donna non fosse più una condizione necessaria e sufficiente a garantirle l’immunità.
La spocchiosa sfrontatezza che aveva contraddistinto la sua condotta nei mesi precedenti, quando scorrazzava tra le strade del Rione “impennando” alla guida di prodigiosi scooter, aveva ceduto il passo a una vita più ritirata.
Allora, si serviva a vario titolo dei guagliuncielli del clan: per ordinargli “mansioni da mamma”, comprare le sigarette piuttosto che il pane, ma anche quelle “da boss”, dallo spaccio alle stese, alle direttive necessarie per consolidare il potere e la credibilità del clan. Un potere criminale radicato da tempo, decapitato da una sentenza di morte che porta l’inequivocabile firma dei rivali storici del clan De Micco, i cosiddetti «Bodo» di Ponticelli. Un agguato che fa male, perché colpisce una figura cruciale del clan e, al contempo, consegna una consapevolezza: “la spiata è arrivata da dentro al Rione”, dal “sangue del sangue” della Passillona. Quella mattina il sistema d protezione intelaiato intorno alla sua vita ha toppato. Un clamoroso e inspiegabile blackout costato la vita della prima “donna boss” della storia del clan D’Amico.
Sapeva di poter contare sempre e comunque su un appoggio armato, forte di una protezione che non pensava potesse venir meno proprio ai piedi del suo bunker, in via Flauto Magico, Annunziata D’Amico aveva messo in piedi una serie di precauzioni serrate per guardarsi le spalle.
«Chi saliva dalla ”passilona” – ha spiegato un pentito – doveva lasciare le armi in mano a un loro affiliato, che le metteva in un vano ricavato in ascensore, così nessuno si impressionava e si poteva parlare di affari».
Le tangenti imposte a un sistema di piazze confederato ai boss di via Flauto Magico attestano lo spessore criminale della passillona. Uno dei figli più piccoli di Nunzia, minorenne, era spedito a prendere 500 euro alla volta da una piazza di spaccio di un proprio affiliato. Una tangente imposta nello stesso circuito criminale.
Una donna caparbia che sapeva bene che futuro imprimere nella vita dei suoi figli, inculcandogli, attraverso quella “gavetta”, le nozioni fondamentali, oltre che la ferma possibilità di conquistare sul campo, fin da subito, fin da bambini, la rispettabilità di tutti, anche dei “veterani”, soprattutto la loro.
Dai racconti dei pentiti, tuttavia, emerge in maniera ancor più eloquente l’autorità della passillona: «Andammo a casa di ”Chernobyl” (il marito di Nunzia D’Amico) ma a parlare fu solo lei, la ”passilona”». Una donna, una moglie che zittisce un uomo che per giunta, ricopre un ruolo di spessore all’interno delle gerarchie criminali.
Ancor più emblematiche sono le parole decantate dalla voce della stessa passillona che, nell’ambito di una serie di intercettazioni, esterna un dilagante delirio d’onnipotenza.
Parole che consentono agli inquirenti di ricostruire le attività illecite del clan: lo spaccio di droga, che vede in pole position la micidiale “amnè”, ovvero, quella che i ragazzi del rione definiscono “la droga che se te la fumi, ti fa diventare scemo”, imposta su undici piazze della zona, un omicidio, armi affidate a bambini sotto i dieci anni, racket sulle sigarette di contrabbando e sulle imprese di pulizia che lavorano nei rioni popolari.
Parlava così la “passilona” dal suo appartamento di via Flauto Magico 294: «Sono una femmina… perché esternamente sono femmina, ma dentro mi sento uomo. Io non sono la guagliona di nessuno e non ho mai fatto la guagliona di nessuno».
Mariti e fratelli in carcere? «Ora la camorra la facciamo noi, tanto Cernobyl (Salvatore Ercolani, arrestato) non ci sta più… Ora è peggio: ora ci stanno le donne».
Dice un affiliato: «Mi sono comprato una pistola, una 38». E lei: «È bella, è un mostro».
E quando teme un agguato ai danni di uno dei suoi sei figli, questi sono gli ordini che impartisce alle sue guardie armate: «Non li far scendere con le pistole ma con la mitraglietta. Perché pure da lontano devono sparare».
È così che i carabinieri sono giunti al maxi-blitz di domenica notte. Il Rione Conocal accerchiato da trecento carabinieri, 89 arresti (75 in carcere, 14 ai domiciliari) Annunziata D’Amico sarebbe stata la numero 90, nell’ordinanza di custodia cautelare chiesta e ottenuta dal procuratore aggiunto della Dda Filippo Beatrice, se non fossero giunti a “prenderla” i sicari prima degli uomini in divisa. Un totale di 108 indagati, finito ai domiciliari anche un medico di base della Asl Napoli 1, Fausto Knowles. Accusato di aver certificato una falsa colica renale per una donna del clan che, sottoposta all’obbligo di presentazione quotidiana alla pg, vuole andare dal marito in carcere a Oristano. Prescrizione di tre giorni di riposo.
Il clan era “spiato” dagli occhi elettronici delle “guardie”. I gregari avevano fiutato in più frangenti e da più parti quel pericolo, tant’è vero che gli affiliati volevano spaccare le telecamere con mazze di ferro, una viene effettivamente abbattuta sulla statale 162, ma i carabinieri prontamente la rimpiazzano.