Una madre capace di svilire l’essenza e i sentimenti basilari, primitivi e distintivi del “cuore di mamma”, quella che nell’immaginario collettivo pone la genitrice al centro dell’universo, cuore pulsante del mondo, instancabile forma dispensatrice di qualsiasi forma di nutrimento e sostentamento.
Mai e poi mai una madre potrebbe fare del male ai propri figli, secondo quell’indole scalfita nell’anima dalle primordiali leggi della natura.
Madre leonessa che lotta per proteggere e difendere i suoi cuccioli, mamma chioccia che cova le uova e vive solo per procacciare del cibo per i suoi piccoli, per farli crescere, per nutrirli, perché quello è il senso più elevato e supremo del suo esistere. Madri apprensive, remissive, tolleranti e severe, accondiscendenti e comprensive, amorevoli e protettive.
Questo e molto altro, vuol dire “essere madre”.
La storia, non di rado, ha consegnato ritratti di madri capaci di discostarsi notevolmente da questo quadro, per rendersi autrici di gesta inumane e tutt’altro che riconducibili al “cuore di mamma”.
Marianna Fabozzi è una madre che, fin qui, si fatica a percepire come tale. Un ragazza come tante cresciuta tra gli scampoli del degrado peculiare delle periferie. Il parco Verde di Caivano, teatro di vita e di morte, destinato ad accogliere una delle vicende di cronaca più efferate della storia dell’umanità.
È lì che M è cresciuta e come spesso accade nei contesti in cui c’è poco spazio e poco tempo da dedicare ai libri e alla prospettiva di disegnare un carriera lavorativa o un percorso di studi nella propria vita, la Fabozzi si è sposata presto e ha avuto due figlie con un uomo, un bambino con un altro compagno. Storie che, in quei contesti, rasentano la normalità.
Marianna, però, ha dato le sue figlie in pasto a un compagno “con il vizietto” di ricercare “emozioni proibite” tra le innocenti grazie di bambine inconsapevoli. Proprio come Chicca.
Marianna, una madre che vede, che sa, che sente e capisce cosa accade intorno a lei e cosa sta concorrendo ad imprimere nella vita delle sue figlie. L’artefice è lui, Raimondo Caputo, il suo compagno, ma lei, piuttosto che da madre, preferisce comportarsi da complice.
Le sue bambine, la piccola Fortuna e Dio solo sa quanti e quali altri vittime ha lasciato sopraffare dalla perversione di quell’orco – e di eventuali altri complici – quando sarebbe bastato che a parlare fosse “il cuore di mamma”.
E poi c’è Antonio, la morte di quel bambino franato dalla finestra della sua stanzetta, archiviata come “un incidente domestico” che, tuttavia, fin dalle prima battute, non ha mostrato alcun elemento che potesse accostare quel volo senza ritorno verso il vuoto alla parola “accidentale”.
L’altezza della finestra che l’esile corpo di Antonio non avrebbe mai potuto ricoprire da solo per conquistare un posto sul cornicione ed arrivare a sporgersi fino a procurarsi la caduta letale, solo per guardare un elicottero e poi, il cinismo e il distacco che, fin da subito, Marianna ha manifestato al cospetto della stampa. La donna raccontava di quel bambino andato incontro ad una morte tanto atroce, come di un “incidente di percorso” da dimenticare in fretta. Un “impiccio”, una seccatura della quale sbarazzarsi senza fare troppo rumore e, in effetti, il giallo legato alla morte di Antonio Giglio, in prima battuta, ha destato meno clamore rispetto a quello della piccola Fortuna Loffredo, avvenuto all’incirca un anno dopo.
Potrebbe aver subito violenze sessuali il piccolo Antonio, al pari della piccola Chicca. A suo tempo, l’esame autoptico non ha scongiurato quest’ipotesi. E adesso, risulta davvero difficile aiutarlo e stabilire quale atroce destino abbia effettivamente segnato la vita del piccolo Antonio.
Intanto, l’attenzione degli inquirenti si focalizza proprio su quel “cuore di mamma”, cinico e anaffettivo, che avrebbe potuto afferrare Antonio per scaraventarlo nel vuoto.
Ucciso per “regolare quel conto aperto” che intercorreva tra lei e l’ex marito, oppure per qualche altra inaccettabile ragione.
Una morte senza peso né valore, in ogni caso, per quella madre che non ha mai chiesto giustizia o invocato a gran voce di afferrare la verità su quella prematura morte.
Non ha battuto ciglio, non ha provato neanche a difendere e salve i suoi figli, Marianna, né da quell’orco che abusava di loro né dalla sua indole di donna denudata del “cuore di mamma”.