Il rione Conocal di Ponticelli, un limbo di degrado e malavita balzato più che mai agli onori della cronaca per merito di quel video che ritrae immagini di cruda e sfacciata criminalità che hanno per protagonisti ragazzini che palesano una naturale dimestichezza nel maneggiare le armi e nell’esibire movenze e gergo da boss già affermati.
Si cresce così, in taluni contesti della periferia, tra aberrazione ideologica e culturale e la totale assenza di strutture e modelli positivi ai quali ispirarsi. La criminalità dilaga e se nasci tra “l’erba cattiva” è assai più facile lasciarsi contagiare.
Il Rione Conocal è una delle tante realtà che accoglie un plesso di case popolari sorte nel post-terremoto del 1980, finanziate dalla legge di ricostruzione, destinate ad accogliere centinaia di famiglie, disperate e povere.
Disperazione e povertà: il terreno nel quale per la camorra è fin troppo facile affondare le radici.
Poco distante dal Rione Incis e da via Argine, il Conocal costeggia il comune di Volla, generando uno squarcio paradossale: una cornice di caotico trambusto che rispettosamente lambisce quel “buco grigio”.
Un quartiere di edilizia popolare di pessima fattura, una costante che si ripete tra tante realtà del quartiere, contraddistinte da un numero eccessivamente elevato di abitanti, i bambini, soprattutto i bambini, si fa fatica a censire. Sbucano dappertutto, a tutte le ore, tra le macerie di un tangibile degrado urbanistico.
Il Rione Conocal, così come il Lotto O, il Rione de Gasperi e molti altri rioni del quartiere, rappresentano le carcasse di quel che resta della speculazione edilizia degli anni Ottanta.
Una convivenza forzata e tutt’altro che naturale, quella generata dall’approdo di innumerevoli famiglie provenienti dai contesti cittadini più disparati: abitudini diverse, ideologie e modi di vivere e pensare differenti, che cozzano con quelli dei vicini, in un contesto dove la qualità della vita è ai minimi storici, la dignità e il senso del decoro si identificano in quella totale e disperata assenza di qualsiasi forma di servizi, strutture e infrastrutture. Uno stato di cose che ha concorso a creare una profonda e diffusa ghettizzazione, con gli annessi e assai pericolosi sentimenti di emarginazione sociale e senso di abbandono da parte delle istituzioni che regnano in quella autentiche “terre di nessuno” ben presto adocchiate e fagocitate dalle organizzazioni criminali.
In effetti, il mix tra localizzazione geografica e struttura architettonica del rione e di palazzi che accoglie, senza tralasciare lo stato d’animo facilmente plasmabile dei suoi abitanti, forgia il Conocal ben presto ad autentica roccaforte della camorra.
Storicamente, il Rione Conocal, rappresenta uno degli epicentri più proliferi della criminalità partenopea.
Negli ultimi anni è la roccaforte del clan D’Amico, che un tempo operava come gruppo di fuoco al servizio dei Sarno.
I D’Amico, tuttavia, seguitano a battere la scena criminale in veste di affiliati del clan Mazzarella, con i quali, anche di recente, erano in guerra contro il clan dei Rinaldi-Reale-Formicola per il controllo della zona compresa tra Corso San Giovanni a Teduccio, il Rione Villa e via Taverna del Ferro, culminata nel raid che avrebbe dovuto capire l’abitazione del boss Ciro Rinaldi soprannominato “My Way”. In quel frangente, però, i sicari sbagliarono il bersaglio del raid, rivolgendo plurimi colpi d’arma da fuoco contro l’abitazione sottostante a quella del boss.
Antonio D’Amico detto “Fravulella” leader dell’omonimo clan, viene arrestato nel 2009 per omicidio ed associazione a delinquere di stampo mafioso e in quanto zio di Marco Ricci, è considerato alleato al clan operante nei Quartieri Spagnoli. L’acquisizione di spessore, seguito e credibilità, sia pur come affiliato ai Mazzarella, di “Fravulella”, deriva dalla guerra in atto nei quartieri orientali, ed è testimoniata dai tatuaggi esibiti da alcuni gregari che ritraggono proprio il suo soprannome: “Fraulella”.
Il clan D’Amico è chiamato ben presto a difendersi dalla minaccia di un clan emergente, quello dei De Micco, a capo del quale c’è Marco detto “Bodo”, i cui soldati gli tributano il medesimo atto di fedeltà, facendosi scalfire quel soprannome sulla pelle. Anche il quartier generale dei De Micco è collocato a Ponticelli, quello di Bodo è un clan ben armato, particolarmente attivo nell’ambito delle estorsioni e dello spaccio di droga e sfrutta la sua alleanza con il clan Amodio-Abrunzio per occupare le zone del clan Cuccaro-Aprea, in declino, e per aprirsi la strada verso le piazze di spaccio in quel Rione Conocal, il quartier generale dei D’Amico.
Marco De Micco, può definirsi il pioniere della “camorra new style”, quella animata da giovani sfrontati e pronti a tutto, privi di un codice d’onore e di gerarchie da rispettare e alle quali attenersi, com’era, invece, per i vecchi clan.
Marco De Micco è un giovane boss, molto aggressivo, attualmente detenuto in Lombardia per una condanna per tentata estorsione aggravata dalla matrice camorristica.
Il conflitto criminale tra i clan scoppia nel 2013, sotto la cruenta spinta emotiva di una scia di sangue che sancisce, di fatto, l’incipit di una nuova guerra di camorra nella periferia est di Napoli.
Il primo omicidio avviene a San Giovanni a Teduccio il 12 gennaio 2013. La vittima è un 24enne incensurato. Pochi giorni dopo, vengono uccisi due giovani di 20 e 18 anni, quest’ultimo è il nipote di Teresa De Luca Bossa, appartenente all’omonimo clan scissionista dei Sarno, attivo a Ponticelli.
Nell’ottobre 2013 viene ucciso un membro di spicco del clan Cuccaro, e l’8 aprile 2014 viene colpito un capo del gruppo Amodio-Abrunzio. Due omicidi probabilmente volti a frenare l’espansione del sodalizio De Micco-Amodio-Abrunzio.
La scorsa estate, inoltre, tra i palazzoni del Conocal, avrebbero trovato appoggio e protezione i fratelli Sibillo, leader della cosiddetta paranza dei bimbi di Forcella. Emanuele prima e Pasquale detto Lino poi, avrebbero trascorso parte della loro latitanza sotto la protezione dei D’Amico.
Tuttavia, al clan D’Amico, nel giro di pochi mesi, vengono inferte due sonore stangate: nel marzo del 2015 vengono tratti in arresto all’incirca 60 affiliati, mentre nell’ottobre dello stesso anno viene uccisa in un agguato Annunziata D’Amico, sorella di Antonio, reggente del clan in seguito alla detenzione in carcere di quest’ultimo e del fratello Giuseppe.
Il clan D’Amico avrebbe atteso disposizioni dal carcere, poiché, al cospetto di un delitto tanto spietato quanto esplicativo, spettava al “sangue del sangue” di Annunziata decidere se e come vendicarsi e in che modo riorganizzare il clan. Una guerra cinica e feroce che si combatte a suon di contorte trame imbastite dalla logica criminale e non solo. Un ruolo preponderante potrebbero assumerlo anche i cavilli burocratici che possono portare alla scarcerazione imminente dei pezzi grossi del clan D’Amico, quello stesso clan che stanotte si è visto nuovamente messo in ginocchio dell’ennesimo blitz delle forze dell’ordine che hanno tratto in arresto circa 90 affiliati, donne comprese.
Dalle indagini emergono nuovi scenari raccapriccianti: donne sempre più radicate nelle organizzazioni criminali e che assumono perfino ruoli di spessore, piazze di spaccio a cielo aperto, dove una dose di sballo viene smistata tra i giochi dei bambini, ai quali viene reso impossibile, fin dalle prime battute, distinguere dive finisce “Gomorra” e inizia la vita reale.
Nel Rione Conocal, oggi, si respira un’aria meno pesante, ma la storia insegna che è bene non “allargarsi troppo” tra le crepe di quegli spazi inaspettatamente lasciati vuoti e ripuliti.
Disperazione e povertà sono ancora lì, dentro e fuori quei palazzoni, lungo quel labirinto di precaria solitudine che contraddistingue il Rione Conocal, come tutte le altre “terre di nessuno” che troppo facilmente si tramutano in “terre di camorra”.