Non è necessario caricare una scena del crimine di per sé feroce e violenta di ulteriori suggestioni per renderla mediaticamente più appetibile: Ciro Colonna stava giocando al biliardino del circoletto in via Cleopatra nel Lotto Zero di Ponticelli, come tanti ragazzi del rione sono soliti fare per ingannare la noia. Quando i killer hanno fatto irruzione nel locale per uccidere Raffaele Cepparulo, boss del clan dei Barbatos, nel panico generale, a Ciro sono caduti gli occhiali da vista, si è abbassato per raccoglierli, forse i killer hanno ipotizzato che il giovane si stesse accovacciando per afferrare un’arma, quindi gli hanno sparato.
Cepparulo non si è fatto scudo di Ciro, ma questo non sottrae né aggiunge nulla alla tragicità della morte di una VITTIMA INNOCENTE DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.
I media e le istituzioni sembrano fare orecchie da mercante e seguitano ad omettere quello che è un dettaglio tutt’altro che trascurabile e questo è ancora più grave: piuttosto che fare quadrato intorno ad una famiglia in preda ad una tragedia immane, i media gettano fango sulla memoria di un giovane incensurato ed estraneo alle dinamiche camorristiche. Perché?
L’idea che un ragazzo pulito, onesto, INNOCENTE, trucidato brutalmente da una pioggia di proiettili solo perché quella è l’unica fonte di svago che il contesto in cui vive può offrire ai ragazzi del quartiere, potrebbe rappresentare una motivazione utile ad impedirne la celebrazione dei funerali in chiesa, non dovrebbe, ma DEVE scuotere le coscienze dell’opinione pubblica e non solo.
Ucciso come un camorrista, ma quel ragazzo con le logiche delle trame criminali non aveva nulla da spartire.
Figlio di un camionista e di una casalinga, Ciro era un ragazzo come tanti, come quelli che si incrociano in metropolitana, passeggiando tra le strade dei quartieri più “quotati” della città, rannicchiati accanto alle fermate dei bus nei comuni di provincia, ma Ciro sta pagando duramente il suo status di “ragazzo del Lotto Zero di Ponticelli”.
La famiglia Colonna stenta ancora a concepire quella morte come reale, i genitori sono intontiti da un dolore crudeli e feroce e non riescono ancora a familiarizzare con l’idea che Ciro sia uscito di casa quel pomeriggio per andare a fare due passi con gli amici per non valicare la porta di casa. Mai più.
Vincenzo Iavarone, zio di Ciro Colonna, rompe il silenzio in cui la famiglia di è compostamente racchiusa per fronteggiare quel dolore e racconta chi era suo nipote: “Ciro era un bravo ragazzo, non ha mai avuto a che fare con la criminalità. Era uno studente, frequentava l’Itc Rocco Scotellaro a San Giorgio a Cremano. Un ragazzo buono e tranquillo che se battevi un piede a terra se ne scappava. La nostra è una famiglia pulita, fatta di lavoratori onesti. Quando Ciro è stato ucciso il papà che fa il camionista era fuori per lavoro, è ritornato a casa alle 4 di notte. Solo chi non lo conosceva può divulgare chiacchiere infamanti sul suo conto.
I giornalisti prima di scrivere di mio nipote, dovrebbero parlare con chi lo conosceva per capire davvero che ragazzo era. Ciro è discriminato solo perché era di qui, del Lotto Zero di Ponticelli. È morto in un circoletto frequentato dai ragazzi del posto dove non accade niente di illecito. I ragazzi si ritrovano per giocare a carte, per giocare al biliardo, per passare il tempo. Questi ragazzi non hanno altre alternative, il rione offre solo luoghi di ritrovo come questi. E per questo motivo dobbiamo essere trattati così?
Dobbiamo vederci affrancare l’etichetta di camorristi solo perché non abbiamo strutture che possono accogliere i ragazzi?
Leggere che Ciro era un camorrista ci sta facendo male da morire. Ce lo stanno uccidendo due volte: con le bugie e con le pistole.
Se prima di scrivere i giornalisti si informassero sulla credibilità della nostra famiglia, scavando anche nel passato dei nostri antenati, non troverebbero reati a carico di nessuno. Capirebbero che siamo lavoratori onesti, che paghiamo le tasse e che con la legge non abbiamo mai avuto alcun tipo di problema.
Vogliamo solo che la verità venga a galla e che a mio nipote venga assicurata la giustizia che merita, perché è una VITTIMA INNOCENTE.
Purtroppo è un pregiudizio che i quartieri di Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli si portano dietro da sempre, ma in queste periferie ci abitano anche brave persone.
Tutta la nostra famiglia sta male, così come le persone che ci conoscono.
Mio nipote è stato ucciso perché abitava a Ponticelli. Ho un figlio della stessa età di Ciro che gli somiglia anche fisicamente e anche il viso è molto simile al suo, sembrano due fratelli. E anche per loro, per il futuro dei nostri figli dobbiamo capire che è arrivato il momento di dire basta. I nostri figli non devono essere discriminati e con loro tutte le persone perbene che vivono nelle periferie.”