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Luci e ombre sull’agguato nel Lotto Zero di Ponticelli

Luciana Esposito di Luciana Esposito
8 Giugno, 2016
in Cronaca, In evidenza
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Luci e ombre sull’agguato nel Lotto Zero di Ponticelli
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omicidioUna serie di vani che si susseguono, la fermata del bus che costeggia il marciapiede, strade snelle che si alternano a palazzoni un po’ grigi, un po’ bianchi, un po’ azzurri, come il cielo che ha avvolto una delle giornate più violente di quel Lotto Zero: è via Cleopatra, Ponticelli, su un fronte l’ospedale del Mare, sull’altro il raccordo che porta all’autostrada, nel mezzo le dinamiche sanguigne, concitate, caotiche e genuine peculiari dei contesti popolari.

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Case comunali, alloggi popolari, tantissimi, assai affollati, tanto da fare del Lotto Zero uno dei tasselli più densamente abitati del quartiere Ponticelli.

In passato era una delle zone più prolifere sul fronte criminalità: era lungo quelle vie che gli scagnozzi dei Sarno scorrazzavano in sella alle loro possenti motociclette per incutere timore e rispettabilità e sedurre le signorine vulnerabili al “fascino del cattivo”. Un fatto che trova pieno riscontro nell’elevata presenza di ragazze-madri, sedotte e abbandonate all’epoca e che, oggi, si ritrovano a coprire il ben più moderno e delicato ruolo di “madri-single”. Il declino del clan Sarno, unitamente alla nascita dell’ospedale del Mare – secondo “gli esperti” in materia artefice di una significativa riqualifica della zona – hanno ridotto sensibilmente la presenza di attività e personalità camorristiche nel rione.

Ma non del tutto.

Nel marzo del 2015, intorno alle 21,30, in un circolo ricreativo all’incrocio tra Via Bronzi di Riace e via Cleopatra, Gianmarco Lambiase, un 21enne pregiudicato ritenuto vicino al clan Mazzarella che qualche mese prima era riuscito a sventare un agguato, viene raggiunto da due sicari. Uno alla guida di una moto di grossa cilindrata, l’altro scende dal mezzo per sparare alla vittima, per poi darsi alla fuga. Entrambi indossavano i caschi integrali. Gianmarco sapeva di “rischiare” e aveva cambiato casa, ma non è bastato a salvargli la vita.

Stessa sorte, stesso destino per Raffaele Cepparulo, 25 anni boss del clan dei “Barbatos”, freddato in un altro circolo ricreativo ubicato lì, in quello stesso Lotto Zero, in via Cleopatra, a pochi passi da quello che accolse l’agguato di cui sopra all’incirca un anno fa.

Ieri, però, i killer hanno agito in pieno giorno, sprezzanti della luce del sole, dei giochi dei bambini e del via vai che scalfisce le ore diurne. Sono arrivati a piedi, nel cuore del pomeriggio, erano in due, con il volto scoperto.

Quel circolo ricreativo si trova tra un centro estetico e un negozio d’abbigliamento, introdotto da una tabella ingannevole: “mini-market”.

Solo chi vive quei luoghi sa che quello è un luogo di ritrovo per ragazzi, da qui la prima ipotesi: la “spiata” è arrivata dal Rione.

Quello stesso Rione dove Cepparulo aveva trovato rifugio, perché lui, boss di un clan principalmente egemone nel Rione Sanità, tra le mura del centro storico cittadino non si sentiva sicuro. Sapeva che lo stavano cercando e, proprio com’è successo a Gianmarco, il cambio di dimora non è valso a salvargli la vita.

Da qui, un’altra ipotesi: la testa di Cepparulo potrebbe essere il tassello che sancisce “una nuova alleanza” tra quello che resta dei Sibillo e uno dei due clan egemoni nel quartiere – De Micco e D’Amico – fortemente rimaneggiati da arresti ed omicidi e che stanno cercando di rimettere insieme i pezzi per colmare quell’apparente “vuoto di potere” venutosi così a creare. In effetti, il fatto che il giovane boss Emanuele Sibillo la scorsa estate abbia trovato ospitalità durante le sue ultime settimane di vita prima di finire nel mirino dei killer, proprio tra le mura del Rione Conocal di Ponticelli, roccaforte del clan di Fraulella alias Antonio D’Amico, lascia poco spazio a dubbi su possibili ed effettivi collegamenti ed “affinità elettive” che intercorrono tra i membri delle giovani paranze.

Il trambusto della notte prima è un altro buco nero della vicenda: “casino, non come se fosse un inseguimento, ma come se qualcuno stesse cercando qualcosa (o qualcuno) e a un certo punto vede arrivare le guardie e se ne scappa”. Questo il racconto di chi abita nei pressi del circolo ricreativo in cui Cepparulo e Ciro sono stati uccisi.

Raccontano di scooter che generano caos e una dinamica concitata, difficile da spiegare. Poi sopraggiunge una volante. E tutto tace.

All’indomani dell’agguato, fa specie che sia accaduto proprio lì, forse non vuol dire niente, probabilmente i due episodi non sono collegati, ma la suggestione trova legittimo posto in un simile scenario.

Chiederselo e chiederlo è lecito: la gente del Rione sapeva chi fosse Raffaele Cepparulo?

Ovviamente, sostengono di no.

“Di qua ce ne passano a migliaia ogni giorno. Tutti con queste barbe e con questi “pezzi” di tatuaggi. Come si fa a capire se davanti hai un camorrista o no? Mica glielo puoi chiedere… e poi i ragazzi nel circoletto stanno tranquilli, non danno fastidio, forse proprio per questo Raffaele avrà scelto questa zona. Qua tutti quanti si fanno i fatti loro.”

Già. La discrezione che al cospetto di un agguato di camorra si converte repentinamente in omertà e tende la mano alla paura.

Gli occhi e le finestre, in contemporanea, calano le serrande e barricano qualsiasi forma e segnale di apertura e dialogo, al pari della bocca.

Un copione già scritto.

Una scena già recitata.

Un rituale che meticolosamente si ripete, al cospetto di ogni scena del crimine.

Quando le forze dell’ordine giungono sul luogo dell’agguato il centro benessere e il negozio d’abbigliamento che affiancano il circolo ricreativo sono già chiusi. Il circoletto si è svuotato in un lampo. Intorno alla scena del crimine un calderone di persone di tutti i tipi e di tutte le taglie. Ma nessuno ha visto, nessuno conosce nessuno. Nessuno abita lì, perfino questo.

Si bisbiglia a voce bassa, si osserva dai balconi. Perché, dopo, quando si vedono lampeggiare le sirene delle auto delle forze dell’ordine, le finestre si possono riaprire. Gli occhi no. Quelli rimangono chiusi, anche se, ieri pomeriggio, dei killer di un altro quartiere sono venuti nel Rione per regolare un conto e ci è scappato un morto innocente.

Ciro, un ragazzo che nel Lotto Zero ci è nato e cresciuto, per giunta.

Neanche davanti alla morte di un “figlio del rione” che con la camorra non aveva nulla da spartire ed aveva scelto di preservare integro il suo status di mosca bianca in una terra dove il richiamo della melma pronta ad insudiciarti è assai appetibile, il pugno dell’indignazione riesce a rompere il muro dell’omertà.

Due ragazzi che giungono a piedi nel cuore di un rione popolare, nel bel mezzo di un pomeriggio discretamente soleggiato, fanno irruzione in un circolo ricreativo che pullula di ragazzi, ne uccidono due, escono e percorrono a piedi il tratto di strada che costeggia l’edificio che ha accolto l’agguato, per raggiungere un’auto pronta ad attenderli con il motore acceso.

Tra decine e decine di non vedenti.

“È la regola alla base del “campare quieti”: se vuoi stare tranquillo, devi farti i fatti tuoi. Poi veramente è che in quei momenti non vedi e non capisci niente. Vedi tutto nero. Si annebbia la vista. Non capisci, non riconosci e non ti ricordi più niente.”

L’unica cosa certa è che “la spiata è partita dal Rione”.

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