Il clan dei “Barbutos” così denominati per le barbe folte quale segno distintivo dei gregari, simili a quelle dei militanti dell’Isis: un’analogia tutt’altro che forzata e che non trova solo nell’estetica un fermo punto di contatto, ma anche nell’ideologia.
Uomini-kamikaze pronti a farsi esplodere per servire fino alla fine e dignitosamente il credo che ispira e motiva le loro vite, su un versante. Sull’altro, geograficamente distante, eppure così vicino ed affine a quell’esaltante e delirante dottrina: giovani fedeli e devoti alle leggi della camorra, cresciuti, istruiti, addestrati nel segno del credo camorristico.
Pronti a tutto per servire il clan.
Pronti ad uccidere. Pronti a morire.
Il bacio sulla bocca, simbolo per eccellenza dell’affiliazione, esibito sui social network: una delle massime e più esaustive espressioni della camorra 2.0, quella che si adegua alla moda e alle tendenze dettate dalle correnti generazionali, imparando ad utilizzare i canali di comunicazione per amplificare ed intensificare la diffusione dei messaggi criminali.
E soprattutto i tatuaggi: l’autentico e più innovativo degli “stendardi” dei clan. Il nuovo battesimo d’onore, il “per sempre” sancito con l’inchiostro indelebile scalfito sulla pelle, quale segnale e simbolo supremo ed estremo di fedeltà e servilismo al “sistema”.
Nel caso dei “Barbutos”, i tatuaggi ricoprono una funzione ancor più cruenta.
Tatuarsi i nomi delle persone cadute sotto i colpi d’arma da fuoco esplosi dalle loro stesse mani: vittime esibite con orgoglio e fierezza, come trofei da sbattere in faccia al mondo per sottolineare il proprio spessore criminale, oltre che la temibile efficienza di quella mano da cecchino affamato, spietato, infallibile.
La storia del clan dei “Barbutos” che identifica la sua roccaforte nel Rione Sanità, si sviluppa, evolve e regredisce in contemporanea e in maniera assai similare a quella della paranza dei bimbi di Forcella, l’altro clan cittadino che vanta giovanissime reclute, i baby-camorristi.
Innumerevoli le analogie che intercorrono tra le dinamiche, i contesti e l’epilogo al quale sono andati incontro i baby-boss dei due clan, non a caso rivali.
Invero, Cepparulo si ritrova in libertà per un amaro e controverso incesti tra gli scivoloni della burocrazia e l’ironia del destino.
La decorrenza dei termini di custodia cautelare rimise in libertà quattro giovani del clan Barbutos lo scorso ottobre.
I quattro, Raffaele Cepparulo, Salvatore Basile, Agostino Riccio e Francesco Spina, erano stati arrestati qualche mese prima, ad aprile, proprio perché accusati di architettare una vendetta sanguinaria contro i rivali della paranza dei bimbi di Forcella.
L’inchiesta, condotta dai carabinieri del nucleo investigativo e coordinate dai magistrati del pool Antimafia, svelò il progetto militare: i quattro sarebbero stati sul punto di compiere un omicidio, quando sono stati tratti in arresto, infatti, erano armati e pronti a mettere a segno il loro piano criminale. Nel mirino avrebbe dovuto finirci un esponente del cartello Giuliano-Sibillo-Amirante di Forcella. Un arresto provvidenziale che sventò il pericolo di mietere nuove vittime in un periodo come quello della scorsa primavera, caratterizzato da un’escalation di omicidi ed episodi di violenza tra i giovani dei gruppi criminali del centro storico cittadino.
Una scarcerazione che ha delineato, invece, uno scenario prevedibile e che nell’omicidio di Raffaele Cepparulo identifica la cronaca di un delitto annunciato.
«L’ultimo prescelto», così il 25enne Raffaele Cepparulo, leader dei “Barbutos” si definiva sui social network. Sapeva di essere un bersaglio esposto al pericolo di un agguato. Lui come tutti gli affiliati di un clan, ma lui, più di tutti, negli ultimi tempi lo presagiva.
Tanto che aveva deciso di andarsene dal Rione Sanità per trasferirsi nella periferia orientale di Napoli.
Proprio come fece Emanuele Sibillo l’estate scorsa per sfuggire alla morsa dei cecchini dei clan rivali.
L’ex leader della paranza dei bimbi, trovò ospitalità tra le mura della roccaforte del clan D’Amico nel Rione Conocal di quella stessa Ponticelli che anche Cepparulo aveva individuato come la meta più sicura dove cercare rifugio.
Raffaele Cepparulo si era trasferito nel Lotto Zero, un altro agglomerato di trambusto e case popolari di Ponticelli.
Invero, secondo alcune persone del posto, il giovane bazzicava soltanto nella periferia orientale, ma non era “andato di casa” a Ponticelli.
Secondo altri, era proprio lì che si era trasferito, nel Lotto Zero, ma “queste sono cose che non si vogliono far sapere, perché un camorrista che si nasconde, ammette di avere paura. E la paura ti fa perdere la faccia. Prima con chi ti deve rispettare e poi con chi ti deve temere.”
La sera prima dell’agguato, nella notte tra lunedì 6 e martedì 7 giugno, alcuni residenti del Lotto Zero riferiscono che ci sia stato uno “strano” via vai di motorini, proprio nei pressi del palazzo accanto a quello che ha accolto l’agguato, seguito da “una bella passeggiata” di auto delle forze dell’ordine.
Non vi sono dubbi, invece, su quanto accaduto nel corso del pomeriggio di ieri in via Cleopatra: in un circolo ricreativo che funge da luogo di ritrovo per i ragazzi del rione, due killer, a piedi e a volto scoperto, hanno sparato plurimi colpi d’arma da fuoco contro Cepparulo, colpendolo anche al volto.
Ciro Colonna, un giovane originario del Rione, del tutto estraneo alle dinamiche camorristiche e che si trovava sul luogo dell’agguato per trascorrere qualche momento di svago in compagnia degli amici, come molti giovani del quartiere sono soliti fare, ha perso la vita in quello stesso raid del quale destinatario unico era Raffaele Cepparulo.
Cepparulo è morto sul colpo, mentre Colonna è stato trasportato da alcune persone accorse sul posto all’ospedale evangelico “Villa Betania” dov’è morto poco dopo.
La morte: una costante che si ripete nella carriera dei boss, “attempati” o “baby”, indistintamente, ma questo dato non sembra placare il livore di sangue, al pari dell’”incidente di percorso” che ha portato alla morte di un giovane innocente.
Tra le fila della camorra non c’è posto per i rimorsi, gli scrupoli di coscienza e i sensi di colpa, proprio come accade tra i militanti dell’Isis.