Criminalità, camorra, Gomorra: i tre temi più battuti e discussi attualmente all’ombra del Vesuvio.
Le baby-gang dilagano, i clan seguitano a ramificarsi e sdoppiarsi, le strade di Napoli continuano a macchiarsi di sangue e paura.
Giulio Catuogno, segretario generale COISP, è una delle personalità detentrici del metro valutativo più attendibile in grado di esaminare la situazione che attualmente si respira all’ombra del Vesuvio.
Cosa significa “essere” e non “fare” il poliziotto a Napoli?
“Come in tutte le professioni, quando uno sceglie di fare un mestiere è perché sostanzialmente lo sente suo. Quello del Poliziotto, obiettivamente, non è un mestiere semplice e questa consapevolezza la si è acquisita già da qualche decennio… Sostanzialmente dal periodo delle stragi, quando si è reso di un’evidenza innegabile il fatto che il vestire una divisa non significa portarla a spasso, ma essere sottoposto ad una serie di circostanze che minano la tua stessa vita. Non è che prima non fosse così, ma da quell’anno, sicuramente per la gravità degli eventi, tutto ciò ha acquisito una consistenza diversa. Da lì in poi è andata sempre peggio tant’è che quotidianamente abbiamo sempre più poliziotti feriti in servizio (soprattutto di ordine pubblico) e spesso, quando la notizia viene data, è solo come mero dato statistico. Non si dà un peso e un’identità a chi veste quella divisa, perché è come se rientrasse nella norma… un inconveniente del mestiere. Per questo si “è” poliziotti, qualsiasi incarico si ricopra, dall’operativo a quello prevalentemente burocratico 24 ore su 24. Perché altrimenti uno sceglierebbe di fare altro. Sceglierebbe di fare l’impiegato. E questo è per chi lavora a Napoli piuttosto che a Roma, a Pordenone, a Canicattì o a Padova. Dobbiamo ragionare secondo la realtà dei fatti e non dare spazio ai luoghi comuni. E la realtà ci dice che ogni capoluogo italiano ha, in fatto di reati, il suo triste primato. Napoli ha il suo, ma anche Milano, Torino, Rimini e così via…”
Napoli è una città omertosa?
“Il vocabolario Treccani definisce l’omertà come una variante napoletana di umiltà (derivante dalla «società dell’umiltà» , il nome con cui era indicata la camorra). Oggettivamente quindi il termine omertà è stato coniato a Napoli perché era un dato di fatto ed è quindi innegabile che fosse, almeno in un recente passato, una città omertosa. Oggi però c’è in atto un cambiamento. C’è una voglia di riscatto così evidente che è impossibile non vedere. Ma probabilmente c’è un interesse a voler mostrare solo il peggio che, comunque, rappresenta parte di una totalità che è ben altro.”
Quali sono gli “effetti collaterali” che Gomorra e pellicole cinematografiche similari sortiscono sulla classe sociale e sulla criminalità?
“I luoghi comuni su Napoli e sui napoletani rallentano inesorabilmente quel processo di cambiamento che, tra mille difficoltà, si guadagna spazio a piccoli passi. Fiction come Gomorra e pellicole cinematografiche similari possono avere un effetto negativo sui giovani che vivono soprattutto in zone considerate a rischio, dove sostanzialmente lo Stato non fornisce una alternativa valida e concreta come prospettiva di vita. E allora queste fiction diventano vere e proprie proposte formative che educano i giovani alla prepotenza e alla convinzione che si può essere “qualcuno” solo se si ha una pistola e la si sa usare. Insomma, “è così che i potenti si fanno rispettare. Ma c’è da aggiungere che l’immagine pubblicizzata da simili pellicole della nostra città e della nostra gente è totalmente deleteria. Un liceo del Trentino aveva programmato una gita nel napoletano, ma all’indomani della messa in onda della nuova serie di Gomorra, ha inviato la disdetta. Il fatto è stato ripreso dalla stampa nazionale ed ha avuto la sua risonanza. Certo, in seguito è stato ridimensionato, ma resta il fatto che una connessione tra annullamento evento e proiezione fiction è stato fatto. E questo dimostra che dalla pellicola l’immagine della città non ne esce del tutto indenne.”
Quali sono i provvedimenti da adottare per rendere la città più sicura?
“Sono pochi provvedimenti importanti ma necessari nella loro totalità. A partire dallo stanziamento delle risorse, perché se non si investe nella sicurezza, allora è inutile stare a discutere. Occorre una revisione della politica della sicurezza che garantisca la certezza della pena; allo stesso tempo è necessario un investimento nell’educazione e nel lavoro. Perché è dall’educazione che si deve partire. E’ nella scuola che i ragazzi imparano l’importanza del rispetto delle regole, non come imposizione, ma come prospettiva di cambiamento e possibilità di un bene per sé. E’ una posizione, la nostra, che andiamo ribadendo da anni e che recentemente ha trovato riscontro anche in alcune affermazioni del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, uno che in materia di criminalità organizzata qualcosina ne sa.”
Molti cittadini lamentano una scarsa presenza e un blando potere di intervento da parte delle forze dell’ordine. È un atteggiamento dettato da corruzione, dalla rassegnazione o dalla dilagante diffusione del fenomeno criminale?
“Quello dei cittadini non è affatto un lamento ma rappresenta la constatazione dei fatti. Più che di una scarsa presenza, palerei piuttosto di una riduzione di presenza delle forze dell’ordine sul territorio. Una riduzione dovuta a due piccoli particolari non del tutto irrilevanti. Il primo riguarda il taglio dei fondi per la sicurezza che ha causato la conseguente riduzione di risorse per il pattugliamento del territorio. Un esempio che denunciamo ormai da anni è quello relativo alle auto per i servizi di volante, ferme e inutilizzabili perché non vi erano fondi per le riparazioni anche di lieve entità. Ma i tagli hanno condizionato anche il semplice approvvigionamento di carta o di toner per le stampanti. E in alcuni uffici l’attività è proseguita solo perché i poliziotti si sono autotassati ed hanno acquistato l’occorrente per lavorare. Il secondo punto invece è rappresentato dalla mancanza di un turno over nelle forze dell’ordine. I numerosi pensionamenti degli ultimi anni non sono stati rimpiazzati con nuove assunzioni e questo ha provocato un rallentamento nell’ attività degli uffici che rischia di compromettere in alcuni casi anche il lavoro d’indagine portato avanti con tanti sacrifici.
Per quanto riguarda il blando potere d’intervento, quello è dettato in parte dalle leggi che in taluni casi, come lamentiamo da anni, non assicurano la certezza della pena. Ma non c’è da dimenticare anche ciò che arriva da una certa politica garantista che è più propensa a puntare il dito sugli uomini in divisa che sui soggetti i quali, travisati e dotati di armi improprie, creano subbuglio e contestazione durante “pacifiche” manifestazioni, dove sempre più spesso restano feriti in modo serio gli appartenenti alle forze dell’ordine. Quindi non parlerei affatto di rassegnazione, anzi. Anzi, posso affermare con certezza che proprio la caparbietà e la dedizione al lavoro di taluni operatori ha permesso il prosieguo dell’attività di parecchi uffici totalmente abbandonati a sé stessi.”