L’incubo degli attentati e delle inchieste anticamorra sventate dal tritolo torna ad incombere sulla magistratura italiana.
L’ultimo nome finito nel mirino della criminalità organizzata è il procuratore Giovanni Colangelo.
Un brillante curriculum quello che ha portato Colangelo a ricoprire il ruolo di procuratore, maturato sotto il sole del meridione d’Italia, dove tutto è più difficile e faticoso, ma dove proprio le avversità costituiscono un banco di prova senza pari, che stimola le energie creative, forgiando volontà e determinazione.
Nato a Palo del Colle, figlio di un imprenditore agricolo e di una casalinga, il giovane futuro procuratore vive la sua giovinezza a Castellaneta, frequentando il liceo a Gioia del Colle e l’università a Bari, per diventare poi assistente di Procedura penale e superare al primo esame il concorso in magistratura che lo designa, ad appena 22 anni, fra i giudici più giovani d’Italia. Colangelo è anche un giovane testimonial del concept “mens sana in corpore sano” in quanto, da ragazzo ha praticato vari sport: è stato giocatore di volley nella squadra del Castellaneta e cintura nera di karate.
Una carriera brillante stravolta da una sconcertante verità: era indirizzato al procuratore di Napoli Giovanni Colangelo il tritolo sequestrato nel barese alcuni giorni fa.
La notizia è stata rivelata agli inquirenti della Dda di Bari da un collaboratore di giustizia ritenuto vicino alla Sacra Corona Unita, ma originario di Secondigliano il quale, in cella, alla fine del 2015, sarebbe entrato in contatto con uomini della Camorra che parlavano di un agguato al magistrato.
Conoscono alcuni particolari sensibili della vita del procuratore Giovanni Colangelo, fatto abbastanza difficile visto lo stile riservato dell’uomo, normalmente poco propenso a concedersi in pubblico: si tratta di particolari che, uniti a una possibile volontà di vendetta, hanno spinto a rafforzare il sistema di sicurezza a protezione del capo dei pm partenopei. Un caso non isolato. Ci sono almeno altri quattro magistrati finiti al centro di possibili trame ritorsive da parte della camorra, quanto basta a potenziare un allarme già di per sé alto nel contrasto ai clan di città e provincia.
Un racconto incisivo e sintetico quello del collaboratore di giustizia, originario di Secondigliano, anche se ritenuto legato alla criminalità pugliese, che rivela in sede di interrogatorio: la camorra vuole colpire il capo della Procura a Napoli. Da alcuni giorni c’è una seconda auto blindata – oltre a quella su cui viaggia il magistrato – a proteggerne i trasferimenti sull’asse Campania-Puglia. Stando al racconto del pentito, i clan dell’area Nord progettavano un attentato o “un’azione” contro la figura di vertice dei pm che sono impegnati da anni, in prima linea, nell’azione di contrasto alle faide di ieri e di oggi. Una Procura molto attiva, e una Direzione distrettuale antimafia già ritenuta bersaglio di minacce e gravi rischi per le attività di contrasto portate avanti, ormai da anni, e consolidatesi sotto la guida del procuratore Colangelo: sia sul fronte dei casalesi, ormai smantellati, sia sul versante delle faide in corso tra i plurimi clan ripartiti tra quartieri del centro storico cittadino e periferie.
La sorprendente rivelazione emerge anche tra gli argomenti “riservati” trattati lo scorso giovedì in prefettura, a margine del comitato nazionale per la sicurezza con i tre ministri dell’Interno, della Giustizia e dell’Istruzione, Angelino Alfano, Andrea Orlando e Stefania Giannini. La stessa prefettura dove spesso, negli ultimi mesi, sono stati lanciati gli Sos del procuratore Colangelo e dei suoi vice Borrelli e Beatrice, sui rischi che gravano a carico di altri pm, ancora senza tutela. Proprio lasciando il vertice, quattro giorni fa, il ministro Orlando si era significativamente soffermato su due concetti: “Arriveranno presto nove auto blindate per i magistrati”, aveva detto. E ancora: “Per la sua attività di contrasto, questa Procura è nel mirino della criminalità organizzata”.