Nessuno conosce nessuno e la camorra è un’invenzione dei “giornalisti e degli scrittori” per “fare scena” e sortire clamore: questa la versione dei fatti fornita dai commercianti e dai residenti dell’entroterra napoletano.
Un territorio in balia della camorra: questo è quanto trapela dagli arresti maturati stanotte, legittimati dalle immagini immortalate in un video divulgato dai carabinieri e che ben sintetizzano il clima che si respira lungo il limbo di terra che costeggia il Monte Somma.
Una realtà che la cittadinanza non vuole raccontare né commentare.
Le “stese”, spari intimidatori rivolti contro le abitazioni degli imprenditori per costringerli a cedere al ricatto del pizzo; imprenditori avvicinati e minacciati nei centri scommesse, ancora e sempre, per consegnargli in maniera chiara e perentoria quell’inequivocabile messaggio: “è meglio pagare”.
Immagini crude e chiare che rendono ancor più comprensibile perché la gente non parla: il video che ritrae l’azione intimidatoria messa a segno all’interno del centro scommesse mostra gli stessi gregari del clan mentre allontanano la gente dall’esercizio imponendogli l’omertosa legge del “voi non avete visto né sentito niente e guai a chi parla.”
Eppure, negli ambiziosi piani del clan, qualcosa è andato storto e così, la notte scorsa, piuttosto che mettere a segno l’ennesima “stesa” nei confronti della vittima di turno, gli interpreti di quegli atti intimidatori hanno ricevuto l’inaspettata visita delle forze dell’ordine.
I militari della compagnia di Castello di Cisterna hanno eseguito venti ordinanze di custodia cautelare fatte spiccare dalla Dda di Napoli a carico di altrettanti affiliati ai clan D’Avino e Anastasio, operanti nella zona compresa tra Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, Castello di Cisterna e Pomigliano D’arco: la terra del “professore”, Raffaele Cutolo.
Ed è solo di lui, quando si pronuncia il termine “camorra” che la gente del posto ha voglia di parlare e straparlare.
Un’icona ancora acclamata e osannata, nonostante il declino del suo clan sia maturato anni addietro, nonostante da decenni sia detenuto in carcere. Parole di stima e attestati di autentica ed incondizionata devozione si sprecano per quello che viene definito essere “l’ultimo camorrista” dell’hinterland vesuviano.
“Dopo di lui, la camorra nella zona vesuviana è morta”.
E che valore attribuire, allora, alle immagini che hanno portato agli arresti di stanotte?
Nessuna risposta. Dinanzi a questo quesito, cala il silenzio.
Silenzio di omertà e paura.
Tra gli indagati figurano anche due donne: Nadia Bova e Anna Giuliano. Quest’ultima è la compagna di una figura di spessore della scena criminale locale: il boss Giovanni d’Avino, detto o’ bersagliere, latitante dal dicembre del 2013 e arrestato nel febbraio del 2014 sul lungomare di Salerno, capo dello storico clan di Somma Vesuviana per il quale le manette scattarono proprio per una tentata estorsione commessa nel dicembre del 2010.
Arrestato proprio perchè aveva cercato di farsi consegnare da un imprenditore sommese del denaro in cambio di “tranquillità”.
I carabinieri lo seguirono fin dentro il negozio della vittima. Qui, confondendosi tra i presenti erano riusciti ad ascoltare la conversazione intercorsa tra il boss e il commerciante e sentirono D’Avino dire chiaramente: “Voi sapete che a Somma ci sono io e mi dovete dare qualcosa, sapete che questo è periodo di scadenza e dobbiamo pensare ai carcerati”.
Passano gli anni, cambiano gli attori, ma le scene restano immutate nelle terre in cui “la camorra è morta con la fine dell’impero di Cutolo.”