Un uomo. Una donna. Una coppia. Una stanza. Un mese. Dicembre. Una notte. Quella di Natale. La neve che tutto ricopre e tutto cancella. L’alba che coglie d’anticipo il buio, svela i desideri osceni, consuma i pensieri, stravolge gli animi, conduce al logoramento. Eccoli. Gli sposi ribelli. Gli amanti stremati. Eccoli. Il superstite e il boia. L’incontro degli opposti. Nulla li soddisfa. Nulla li sazia. Ma dove si scappa mentre ci si viene incontro?
Non hanno nomi quest’uomo e questa donna. Potrebbero chiamarsi in ogni modo. Nascondono, loro malgrado, nostro malgrado, qualche cosa di ancestrale, di atavico. Eppure – ne siamo certi – nessuno si stupirebbe a scoprirli silenziosi vicini di casa. Non hanno nomi e mai ne avranno per tutto lo spettacolo quest’uomo e questa donna.
A volte non basta più essere come si è. E per dire cose che, forse, altrimenti rimarrebbero serrate in gola, lei indossa, maldestramente, abiti da Marilyn Monroe. Nessun nome, dunque, e, apparentemente, una casa che potrebbe essere ovunque. Ovunque, in questo porco mondo di periferie. Una finestra, come in un quadro di Hopper, divide gli spazi. Lì si guarda, lì si aspetta. Il luogo del vuoto e del sogno, della trepidazione e del silenzio. Del pensiero. Dentro, fuori. Fuori, dentro. Non si è mai veramente dove si è. Gli occhi scorgono, oltre il vetro, una sopraelevata, i binari del tram e case, case, case. Case ovunque.
Ci sembra di vederle illuminate le finestre di queste case. Le luci di Natale confondono gli occhi. Caldo dentro e freddo fuori. E non si sa quanto sia vero l’uno e finto l’altro. Chiusi in questa stanza-gabbia-tomba, questa Marilyn da quattro soldi celebra per il suo uomo la festa di Natale. Ha organizzato tutto o forse segue solo l’istinto di una notte. Una notte senza grazia. Non si sa. Lui la segue perché non riuscirebbe a fare nient’altro. La segue perché di questo porco mondo, di questa porca città, è il primo degli abitanti. E accecato da desideri e sensi di colpa che si mischiano a velocità inaudite, scopre, sulla sua pelle, che a volte amare significa divorare. La carne è sangue, si dice.
E il sangue dà alla testa, dà alla testa soprattutto alle spose baccanti, che senza tirso, in questo disfacimento di inizio nuovo millennio, pensano che tante cose siano possibili, ma una sola necessaria. E, dunque, eccola, la baccante stremata, la bambola rotta, questa carne scempia alla ricerca di carne empia, trascinare quest’uomo giù, sempre più giù. E lui è lì e non è lì. È lì e vorrebbe essere altrove. È lì e pensa ad altro.
Noi, quando usciamo dal teatro, li immaginiamo al centro di quella stanza, senza porte, senza vie d’uscita. E davvero non si capisce chi sia più vivo e chi sia più morto. Dopo tanto strepitare, finalmente, il silenzio. La neve scende. Nessuno sembra essersi accorto di niente. Noi li guardiamo, da lontano, e pensiamo: quanto è feroce, quanto è accecante la sensualità delle vite disperate.
Lo spettacolo è prodotto da BIANCOFANGO, dalla CORTE OSPITALE di Rubiera e dal progetto OFFicINA1011 di TRIANGOLO SCALENO TEATRO.
Lo spettacolo andrà in scena il 30 aprile alle ore 21.00 e il 1 maggio alle ore 18.00 al TEATRO NEST, Napoli Est Teatro.