Era il 18 aprile 2015 al largo delle coste della Sicilia si è verificata la più strage di migranti avvenuta nel mediterraneo dall’inizio del XXI secolo: l’affondamento dell’imbarcazione ha provocato 58 vittime accertate, 28 superstiti salvati e fra i 700 e i 900 dispersi presunti.
Dal 2000 al 2013 sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare o attraversando i confini via terra del vecchio continente: il 50 per cento in più di quello che appare dalle stime esistenti. Una strage con un bilancio simile a quello di una guerra per dimensioni e numero di decessi, in media più di 1.600 l’anno.
Un’altra tragedia scuote le coscienze di un’Europa che continua a dividersi e costruire muri: almeno 200 tra somali, eritrei ed etiopi sarebbero annegati al largo dell’Egitto tentando di raggiungere l’Italia.
Una tragedia che fa dire al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che “c’è veramente bisogno di pensare”, mentre l’Osservatore romano ricorda la visita del Papa a Lesbo e sottolinea: “il dramma dei migranti non conosce fine”. Il naufragio resta però ancora avvolto nel giallo, visto che per tutto il giorno si sono rincorse diverse versioni e né alle autorità italiane né alla guardia costiera libica risulta nulla
A rilanciare per prima la notizia è stata la Bbc in arabo, citando media locali somali: secondo il network, 4 barconi partiti dall’Egitto con a bordo oltre 400 persone si sarebbero rovesciati e delle centinaia di migranti che erano a bordo solo una trentina si sarebbero salvati.
Invece, il ministero dell’Informazione somalo, ha fornito informazioni diverse correggendo i numeri della Bbc – che erano però stati confermati dal presidente, dal premier e dallo speaker del parlamento in un comunicato nel quale esprimevano condoglianze alle nazione – parlando appunto di “duecento persone annegate”, la maggior parte delle quali di nazionalità somala.
Infine, un’ulteriore versione dell’accaduto emerge dalla testimonianza al sito somalo ‘Goobjoog News’ di un uomo che sostiene di essere uno dei sopravvissuti al naufragio.
“A bordo – ha raccontato Awale Warsame – eravamo circa 500 passeggeri, la maggior parte somali, ma solo 23 si sono salvati. I sopravvissuti, incluso me, sono rimasti in mare per cinque giorni, aggrappati a dei pezzi di legno del barcone per tenersi a galla prima di essere salvati”.
Secondo il suo racconto, i trafficanti avevano caricato i migranti sul barcone nei pressi di Alessandria d’Egitto il 7 aprile scorso. Il 12 si è verificato l’incidente.
“Siamo stati salvati – ha aggiunto Warsame – da una nave filippina nei pressi di un’isola greca”. In attesa di conferme ufficiali al naufragio, resta un dato incontrovertibile: la chiusura della rotta balcanica e l’accordo Ue-Turchia per bloccare le partenze verso le isole greche, stanno facendo sì che le migliaia di disperati in fuga da guerre e fame si spostino verso il nord Africa e il Mediterraneo centrale, con l’obiettivo di raggiungere l’Italia. Sono oltre 24mila i migranti già sbarcati nel nostro paese, il doppio dell’anno scorso, e i numeri delle ultime settimane dicono che sono in aumento le partenze da Libia, Egitto e anche Tunisia come dimostra il gommone approdato oggi a Sant’Antioco, in Sardegna, con 16 tunisini ed algerini. Ma quella del Mediterraneo centrale resta la rotta più pericolosa, nonostante il dispositivo italiano ed europeo schierato al largo della Libia. E non è un caso che le Ong tornino a ribadire la necessità di aprire “canali sicuri legali” e “corridoi umanitari” per consentire ai richiedenti asilo di raggiungere l’Europa senza sfidare il mare. Su quella rotta, infatti, si continua a morire, come dimostrano i sei cadaveri ritrovati a bordo di un gommone semisgonfio soccorso nella serata di ieri da nave Aquarius della Ong ‘Sos Mediterranee. Dopo aver recuperato i vivi, 108 persone, si è tentato di trasferire a bordo le vittime ma il gommone si è piegato a V ed è affondato. Non è chiaro ancora se si tratti delle uniche vittime: i migranti hanno infatti parlato di 130-140 persone a bordo prima della partenza da Sabrata ed inoltre altri due uomini, alla vista dei soccorritori, si sono gettati in acqua e sono affogati.
Sulla base dell’esperienza fatta con l’accordo tra Ue e Turchia, l’Italia propone un ‘migration compact’ per ridurre i flussi anche lungo la rotta mediterranea attraverso nuove intese con i Paesi d’origine e di transito, in particolare quelli africani, da finanziare con strumenti innovativi come i bond Ue-Africa. Ecco quanto l’Ue potrebbe offrire ai Paesi terzi in base alla proposta italiana.
– PROGETTI D’INVESTIMENTO. Opere dall’alto impatto sociale e infrastrutturale da individuare assieme al Paese partner.
– UE-AFRICA BONDS. Titoli con cui finanziare i progetti infrastrutturali e facilitare l’accesso di questi Paesi ai mercati finanziari, in sinergia con la Bei e le altre grandi organizzazioni finanziarie internazionali.
– COOPERAZIONE SUL FRONTE DELLA SICUREZZA. Controllo comune dei confini e collaborazione sul fronte della lotta al crimine
– OPPORTUNITA’ DI MIGRAZIONE LEGALE. Creazione di strumenti per l’accesso di lavoratori al mercato europeo
– SCHEMA DI REINSEDIAMENTI. Sistema di compensazione riservato ai Paesi che si impegnano nello stabilire sistemi di asilo nazionali Ed ecco quello che l’Ue potrebbe chiedere in cambio
– CONTROLLO CONFINI E RIDUZIONE FLUSSI. Nell’ambito di un coordinamento con le forze locali anche grazie a una Guardia di frontiera europea.
– COOPERAZIONE SUI RIMPATRI-RIAMMISSIONI. Collaborazione amministrativa con i Paesi sul fronte dell’identificazione, della distribuzione dei documenti e dei rimpatri.
– GESTIONE DEI FLUSSI DEI RIFUGIATI. Con il sostegno locale di strutture di accoglienza dove identificare chi ha diritto a ottenere protezione internazionale e chi no.
– APPLICAZIONE DI SISTEMI DI ASILO NAZIONALI. In linea con gli standard internazionali, magari con l’aiuto di agenzie specializzate come l’Unhcr e la Oim.
– LOTTA COMUNE AI TRAFFICANTI. Con operazioni congiunte di polizia e aumentando la cooperazione giudiziaria.