«Speravamo di sbagliare; speravamo che i nostri ripetuti sussulti, i tentativi di sensibilizzare le Istituzioni sul dramma al quale stiamo andando incontro definanziando la sanità, potessero servire a raddrizzare la rotta. A quanto pare non è così. Esiste un disegno ben definito che la politica continua a perseguire ignorando ogni istanza dei cittadini e di chi, come noi, cerca di difendere il diritto alla Salute. Siamo stati i primi a denunciare con forza, con campagne informative anche molto dure. Siamo stati, e siamo, pronti a raccogliere le critiche e a subire gli attacchi di chi non vuol vedere. Ma siamo anche consapevoli che, come sta accadendo, questa nostra battaglia sta svegliando molte coscienze. Oggi anche la Fondazione GIMBE certifica quanto da noi evidenziato nei mesi scorsi».
A parlare è il presidente dell’Ordine dei Medici Silvestro Scotti, che commenta positivamente il lavoro svolto dalla Fondazione GIMBE (che dal 1996 si occupa a più livelli di formazione e informazione nell’ambito della Sanità).
Secondo le previsioni del DEF, nel triennio 2017-2019 il PIL crescerà in media del 2,8% per anno, mentre la spesa sanitaria aumenterà annualmente a un tasso medio dell’1,5%: in dettaglio, dai 113,3 miliardi stimati per il 2016, la spesa sanitaria dovrebbe arrivare a 114,7 miliardi nel 2017, a 116,1 nel 2018 e 118,5 nel 2019. «Le previsioni del DEF – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono uno specchietto per le allodole, perché negli ultimi anni la sanità ha ricevuto sempre meno di quanto previsto dal documento programmatico del Tesoro. L’esempio del 2016 è paradigmatico: dai 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, siamo scesi a 116,1 con il DEF 2014 e a 113,4 con il DEF 2015, per arrivare a un finanziamento reale di 111 miliardi, comprensivi di 800 milioni da destinare ai nuovi LEA». «Se le stime del DEF su aumento del PIL e spesa sanitaria sono corrette – continua il Presidente – al di là di slogan populisti e promesse vane, la chiave di lettura è solo una: crescendo meno del PIL nominale, la spesa sanitaria non coprirà nemmeno l’aumento dei prezzi. Di conseguenza la sanità pubblica, a parità di potere di acquisto, nel prossimo triennio disporrà delle stesse risorse solo se la ripresa economica del Paese raggiungerà previsioni più che ambiziose. In caso negativo, sul SSN non potranno che abbattersi ulteriori tagli». Ma il dato più preoccupante è che, secondo le stime del DEF, nel triennio 2017-2019 il rapporto tra spesa sanitaria e PIL decrescerà dello 0,1% anno, attestandosi al 6,5% nel 2019.
«Il 6,5% è una soglia d’allarme – precisa Cartabellotta – che desta enormi preoccupazioni per la salute dei cittadini, al di sotto della quale secondo le stime dell’OMS si riduce l’aspettativa di vita. Finiremmo in fondo ai paesi OCSE, dopo essere già stati richiamati, con la revisione del SSN di gennaio 2015, a “garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non vadano a intaccare la qualità dell’assistenza”».
Tutto questo avviene in un clima di grande sintonia tra Stato e Regioni: infatti le previsioni del DEF tengono conto dell’intesa Stato-Regioni dello scorso 11 febbraio, che ha permesso al “contributo alla finanza pubblica […] nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza” previsto dal comma 680 della Legge di Stabilità di trasformarsi nel DEF 2016 in “contributo del Servizio Sanitario Nazionale alla complessiva manovra a carico delle Regioni definita dalla Legge di Stabilità 2016”, concretizzando anche i desiderata delle Regioni. Infatti, il comma 680 della Legge di Stabilità rimandava al 31 gennaio di ogni anno la proposta delle Regioni sul contributo alla finanza pubblica, lasciando ulteriori margini di recupero di risorse per la Sanità. L’Intesa Stato-Regioni dell’11 febbraio, rideterminando il fabbisogno sanitario nazionale in 113 miliardi per il 2017 e in 115 miliardi per il 2018, da un lato ha fornito ragionevoli certezze alle Regioni, dall’altro ha sancito che il contributo alla finanza pubblica per gli anni 2017-2019 graverà quasi del tutto sulle spalle della Sanità (3,5 miliardi per il 2017 e 5 miliardi per il 2018 e 2019), assolvendo le Regioni dal compito di presentare proposte e il Governo da quello di valutarle, fatta eccezione per i residuali 480 milioni.
«In un ottica di finanza pubblica – conclude Cartabellotta – siamo indubbiamente di fronte ad una strategica intesa Stato-Regioni, oculatamente non data in pasto ai media. Secondo una prospettiva di sanità pubblica, l’11 febbraio 2016 rischia di passare alla storia come la data in cui Stato e Regioni hanno assestato il colpo di grazia al SSN».