“Per lo Stato le periferie non esistono”, “si ricordano di noi solo quando ci sono le elezioni”: queste le frasi nelle quali ci si imbatte, in maniera sistematica e ricorrente, passeggiando per le periferie napoletane.
Le periferie, da sempre, rappresentano un congruo e lauto “pacco di volti”, in grado di decidere le sorti della città e finanche del Paese.
Gli abitanti delle periferie devono seguitare a vivere noncuranti dell’enorme potere che detengono, perché “se imparassero a pensare con la loro testa” potrebbero diventare un “problema serio”: rischierebbero di scrivere una pagina di storia imprevedibile ed inedita, riscattando le loro sorti in primis e sovvertendo le regole di quello stereotipato stato di cose che, tacitamente, si ripete.
Cambiano gli attori, ma il copione è sempre lo stesso: le periferie seguitano a guardare dalla finestra le evoluzioni alle quali va incontro “mamma Napoli” – sotto gli aspetti più disparati – in un clima di rassegnata e mancata partecipazione. Come se “così è sempre stato ed è così che deve continuare ad essere” rappresenti l’unica politica auspicabile ed applicabile lungo le strade in cui il degrado troneggia su civiltà e progresso.
Anche se “per propinare un palliativo” sempre più spesso sbocciano associazioni ed iniziative sociali, sportive e culturali più che lodevoli, è facile appurare come si rivelino sistematicamente capaci di fagocitare “la solita” e prevedibile cerchia ristretta di adesioni, da parte di quella fetta di popolo che possiede e manifesta i requisiti minimi in grado di predisporli all’apertura, mentale ed emotiva, che può introdurre il cambiamento.
Tante, tantissime vite, invece, nascono e muoiono nel segno di “quella mentalità” e non è retorica. È solo la triste realtà che si ripete. Ne è più che consapevole chi negozia voti in cambio di qualche spicciolo o delle “solite” promesse che pullulano in prossimità delle elezioni.
Diversamente, il politico di turno, non si sentirebbe legittimato a proporre “la pastetta”, se anche per un solo istante venisse sfiorato dal “timore” di vedersi consegnare la replica che merita, quella che gli verrebbe consegnata da un essere pensante, realmente munito delle nozioni basilari e necessarie per elaborare un pensiero autonomo, che non fosse povero e disperato, al punto da vedersi annebbiare sensi e vista, al cospetto di qualche euro da intascare in maniera “facile e onesta”, perché, del resto, gli viene chiesto solo di “mettere una croce su un pezzo di carta.”
La ribellione, il riscatto, il ripristino della legalità non avvengono e non avverranno mai, proprio perché, nelle periferie regnano la povertà e l’ignoranza.
Le stesse basi sulle quali la camorra innalza il suo “impero del male”, le medesime “casseforti” dalle quali “quella politica” attinge voti facili e sicuri.
Lucrare sulla povertà di un cittadino: la peggiore delle premesse dalla quale partire per avviare un “progetto politico”.
Abusare dell’ignoranza di un cittadino: l’atto di vigliaccheria più riprovevole che un essere umano può giungere a compiere per ottenere uno scopo.
All’indomani dell’ennesimo successo elettorale, il politico di turno, ancora tramortito dagli schiamazzi del post-festeggiamenti, siede sulla tanto agognata poltrona di palazzo San Giacomo e seguita a circoscrivere il raggio d’azione del suo operato alla sola città di Napoli, con sporadici e serrati interventi sulle periferie.
Su quelle stesse periferie, di contro, all’alba dell’ennesima campagna elettorale, cala nuovamente “quel tramonto” denso di indifferenza e noncuranza, confacente alla più bollente delle patate, alla gatta più scomoda da pelare.
Semplicemente, sulle periferie cala nuovamente il mantello più confacente alle periferie.
Ai cittadini portati sottobraccio con amichevole cortesia dal politico di turno, resta solo un pugno di mosche tra le mani: i pochi spiccioli negoziati in cambio del voto promesso saranno già volati via, mentre “le promesse”, quelle solite e che puntualmente riecheggiano tra le strade e i palazzoni delle case popolari, non hanno mai smesso di volare, solo che, quel cittadino prende atto dell’effettiva realtà dei fatti, all’indomani dell’ennesima campagna elettorale, quando realizza che ha negoziato pochi euro in cambio di una fortuna che andrà a rifocillare, ancora e sempre, le “solite” casse.
Allora, non gli resta da fare altro che chiedersi: se mi fossi informato per dare il mio voto al candidato che realmente rispecchia i miei valori, forse, avrei garantito un futuro migliore ai miei figli?
Quindi, cari napoletani, quando sarete chiamati a votare, prima di esprimere la vostra preferenza, ponete una semplice domanda a voi stessi: “che cittadino voglio essere? Di “serie A” o di “serie B”?”