“…Quando erano ormai mezzanotte ci raggiunse Giovanni a bordo del suo scooter. Subito mi avvicinò e mi diede un bacio in bocca, dicendomi nel contempo: “quello se ne deve andare” facendo segno ad Amendola…Io gli chiesi chi se ne doveva andare e Tabasco mi rispose testualmente: “non fare bordello”; poi chiamò Amendola Vincenzo e gli intimò di salire sul suo scooter, cosa che Amendola fece senza nulla proferire. A questo punto io mi resi conto che Tabasco Giovanni era armato di pistola, in particolare notai il gonfiore provocato dall’arma sotto il giubbotto aderente che egli indossava. Iniziai a capire che stava per succedere qualcosa di grave proprio ad Amendola, sia per il comportamento di Tabasco, sia per il fatto che questi era visibilmente armato, munito di scalda-collo tirato sul volto e cappuccio in testa e sia perché Amendola iniziò a piangere allorquando salì sullo scooter di Tabasco, come se in effetti sapesse che gli avrebbero dovuto infliggere una punizione. Pertanto io dissi a quest’ultimo che lo avrei aspettato lì, con la intima finalità di rimanere al di fuori di ciò che stava per accadere. A tanto Tabasco mi ordinò di salire a bordo dello scooter, e di prendere posto dietro ad Amendola ed io decisi quindi di ubbidire. A questo punto ci portammo in una località distante in linea d’aria 300 metri, effettuando il seguente percorso: via Taverna del Ferro, viale 2 Giugno contro il normale senso di marcia, poi svoltammo a sinistra in Vico II Villa ove percorsi circa 50 metri si trova un parcheggio ove lasciammo lo scooter. Ricordo che durante il tragitto Amendola Vincenzo piangeva dicendo: “se mi dovete picchiare picchiatemi adesso”. Tabasco gli chiedeva provocatoriamente: “perché piangi? Forse hai fatto qualcosa?”. Amendola rispondeva in lacrime di non sapere cosa aveva fatto…Una volta giunti nel parcheggio di vico II Villa, raggiungemmo a piedi via Salvatore Aprea, dove si trova un appezzamento di terreno abbandonato, parzialmente occupato da alcuni animali, tra cui un cavallo, e in parte coltivato da un contadino. Da via Aprea salimmo sui gradoni di un piccolo anfiteatro, attraverso i quali si accedeva all’appezzamento di terreno. Più segnatamente il primo ad entrare nel suolo fu Tabasco Giovanni, poi salì Amendola Vincenzo e successivamente salii io, mantenendomi leggermente più in dietro degli altri in quanto non potevo escludere che proprio io potessi essere l’oggetto dell’azione punitiva, anche in considerazione del bacio in bocca che mi diede Tabasco, cosa che non aveva precedenti e che io sappia nella malavita si fa nei confronti di coloro che sono stati condannati a morte. Una volta percorsi pochi metri Tabasco fa un segnale con un grosso fischio e quindi vedo apparire alle mie spalle Gaetano Formicola, il quale giungeva da via Aprea a piedi, indossando dei guanti da lavoro di colore verde e grigio, con il cappuccio del giubbotto di colore beige sul capo. Formicola Gaetano mi superò e si avvicinò a Tabasco Giovanni, il quale gli consegnò l’arma che aveva indosso, ovvero una pistola beretta 9×21 cromata. Tabasco ordinò quindi a Vincenzo di seguire Gaetano, poi indossò anche lui dei guanti di gomma nera e ne diede uno anche a me, insieme ad uno straccio bianco con il quale aveva precedentemente avvolto la pistola che aveva consegnato a Formicola Gaetano. Preciso che in tale frangente io ero l’unico a volto scoperto e dotato di telefonino cellulare. Io dissi subito al Tabasco di non voler sparare, perché ormai era chiaro che bisognava uccidere Amendola Vincenzo, delitto al quale io non intendevo partecipare. Tabasco mi disse: “Tu non devi fare niente !” – Gaetano Nunziato ha poi continuato – Proprio in tale frangente Formicola con una mossa fulminea prese Amendola Vincenzo per la giacca e lo tirò a sé. Immediatamente armò il carrello dell’arma e la puntò al capo di Amendola tentando di esplodere un primo colpo che però andò a vuoto in quanto l’arma si inceppò. Nel contempo Amendola, in lacrime, implorava al Formicola di fermarsi chiedendogli cosa volesse fare. Formicola, dopo averla riarmata, puntò nuovamente l’arma alla testa di Amendola, che nel frattempo si dimenava, riuscendo stavolta ad esplodere al suo indirizzo un primo colpo che lo centrò al volto, credo ad uno dei due zigomi. Ora non ricordo quale dei due. Una volta colpito Amendola cadde al suolo, ma si rialzò immediatamente e, sempre piangendo, si avvicinò nuovamente a Formicola Gaetano dicendo: “ma che hai fatto, mi hai sparato nell’occhio?”. A tanto Formicola Gaetano, senza parlare, esplose un secondo colpo a bruciapelo, all’indirizzo dell’Amendola, colpendolo stavolta, mortalmente alla tempia sinistra. Amendola rovinò quindi al suolo con un forte rantolo e capii che era deceduto. Formicola Gaetano per assicurarsene provò a calciarlo con un piede così da assicurarsi che era morto. Quindi si rivolse a noi dicendo “è morto è morto” ed incitandocia prendere il cadavere e trascinarlo in una grossa buca rettangolare scavata, credo preventivamente. Visto che ero rimasto impietrito, Formicola Gaetano iniziò ad incitarmi a muovermi ed a dare loro una mano a sotterrare il cadavere di AmendolaVincenzo, cosa che facemmo, riponendo il suo cadavere nella fossa succitata, profonda credo un metro e mezzo, e ricoprendola con i piedi e con delle pale, con il terreno di risulta dello scavo della buca. Mentre accadeva ciò io fui preso da una crisi di pianto”.
Secondo la testimonianza di Gaetano Nunziato, così Gaetano Formicola detto ‘o chiatto -figlio del boss Antonio detenuto – e Giovanni Tabasco detto ‘o Brill avrebbero assassinato Vincenzo Amendola, il 18 enne di San Giovanni a Teduccio, prima giustiziato e poi sepolto in un campo incolto.
Ora le dichiarazioni del giovane – che ha affermato di voler collaborare perché temeva per la sua stessa vita – dovranno essere supportate da prove per emettere le ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei due. Per il momento, l’unica cosa certa è che Vincenzo Amendola si vantava in giro di avere una relazione con una donna del clan, anche se non sono ancora emerse prove a supporto della veridicità della suddetta relazione. Una testimonianza meticolosa e sconcertante quella fornita dal giovane 23enne, amico d’infanzia della vittima che racconta una realtà cinica, sfrontata, feroce, inumana e che per questo fa ancora più paura.