LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VINCULIS
“Nell’entrar di questo vico, ,nella strada maestra, a sinistra vedesi una chiesa dedicata a San Pietro in Vinculis, detta anticamente a Media o Melia, questa chiesa fu ella abbadiale; venne poi dall’abate conceduta a Giovanni Lucio Scoppa, famoso grammatico in quei tempi, il quale quanto acquistò coll’insegnare, tutto spese in rifar questa chiesa, e lasciò un legato che vi si mantenesse una scuola con ottimi maestri per imparare grammatica a’ poverelli, come al presente vi si vede accresciuta con più classi per opera del già fu don Nicolò Basile, sacerdote di molto zelo e carità, rettore in detta chiesa. Questa poi dag’heredi di Lucio fu conceduta alla communità degl’aromatarii, che da noi si chiamano spetiali manuali; sta hora posta a stucchi dorati e dipinta a fresco dal cavalier Binasca.”
(da ”Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli….. date dal canonico Carlo Celano napoletano, divise in dieci giornate. Napoli, 1692 .Giornata Quarta ” )
La chiesa di cui ci parla il Celano era stata costruita nella prima parte del 1400, dall’architetto e scultore Angelo Antonio Fiore. Era stata poi rimaneggiata nel XVI secolo, per volontà di Giovanni Lucio Scoppa, un grammatico molto conosciuto all’epoca ed autore di vari trattati. Egli morì intorno al 1543 e lasciò tutti i suoi beni a favore del monastero di San Pietro in Vincoli per finanziare l’insegnamento della retorica, della grammatica e della poesia a 200 ragazzi poveri. Nel 1588 la chiesa diventò la sede della ‘Corporazione degli speziali manuali e droghieri’, che restò tale fino all’8 marzo 1826, quando, con decreto di Francesco I di Borbone, si costituì nella ‘Confraternita di San Pietro in vinculis degli speziali manuali, dei droghieri, e cioccolattieri della nostra buona Napoli’.
Nel 1654, come risulta da una lapide posta dietro l’altare maggiore, la chiesa fu di nuovo restaurata e modificata. All’interno della chiesa vi sono ancora decorazioni in stucco e pregiati altari in marmo. La cupola fu dipinta da Giuseppe Fattorusso, allievo di Beinaschi, mentre gli affreschi della volta, con San Pietro e Sant’Aspreno, sono probabilmente da attribuire alla scuola di Solimena. Altre opere d’arte saranno forse state rubate, oppure trasferite altrove dalla Arcidiocesi di Napoli, proprietaria della chiesa.
Anticamente la chiesa veniva detta ‘a Melia’ o ‘a Media’, dal nome incerto di una famiglia nobile appartenente al Seggio di Porto. Essi erano probabilmente i proprietari del grande palazzo retrostante la chiesa, ancora esistente, che ha due ingressi, uno dal vico Melofioccolo e l’altro dalla calata Santi Cosmo e Damiano. La locuzione ‘a Melia’, secondo alcuni studiosi, col tempo divenne ‘Amelia’ e successivamente ‘Ammennola’, italianizzata poi in ‘Amendola’, il nome con il quale l’edificio è conosciuto.
Il nome di ‘San Pietro a vincolis’, fu dato alla chiesa in ricordo di due miracoli legati a prigionie subite dal santo. Erode, in attesa di farlo giudicare dal popolo, teneva Pietro in prigione, in catene e sorvegliato da due soldati. Durante la notte un angelo lo liberò dalle catene e dopo averlo fatto vestire, lo condusse fuori dal carcere. Pietro non si meravigliò delle porte che si aprivano, convinto che tutto fosse solo una visione. Quando però l’angelo scomparve e lui si ritrovò solo in una strada, allora capì che la sua libertà era stata dovuta a un miracolo di Dio.
Secoli dopo l’imperatrice Elia Eudocia andò pellegrina a Gerusalemme, dove ricevette in dono dal Patriarca Giovenale, le catene che avevano legato il santo. La figlia, a sua volta, le regalò a papa Leone Magno che le avvicinò a quelle usata per lo stesso scopo in un carce di Roma. Miracolosamente le catene si fusero insieme diventandone una e indistricabile. Per ricordo di questo miracolo fu costruita a Roma la Basilica di San Pietro in vincoli, dove, sotto l’altare, è custodita la catena fusa.
La chiesa napoletana di via Sedile di Porto è in pessime condizioni, così come il suddetto palazzo Amendola ed altre strutture antichissime della zona, che sono state risparmiate dalle ruspe del Risanamento e stanno morendo per l’incuria.