Una notizia importantissima arriva dal Cnr: i ricercatori dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia “Gaetano Salvatore” del Cnr di Napoli e dell’Università di Salerno hanno scoperto una funzione fondamentale della proteina p53 già nota per essere coinvolta nello sviluppo delle neoplasie.
La proteina denominata p53, secondo gli studi effettuati dai ricercatori campani, regola la via metabolica del mevalonato (fondamentale per la proliferazione cellulare) la cui produzione incontrollata è stata associata a diversi tipi di tumori: carcinoma mammario, polmonare ed epatico, linfomi, leucemie e tumori cerebrali.
Chiara Laezza, coordinatrice del gruppo di ricerca insieme a Maurizio Bifulco, presidente della facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università di Salerno, ha spiegato che esistono diversi tipi di oncogeni (geni che favoriscono il proliferarsi di una neoplasia) ed onconosoppressori (geni che bloccano la crescita di una neoplasia) già normalmente presenti nel nostro DNA che regolano numerose funzioni cellulari e che quando subiscono variazioni perdono la loro corretta funzionalità. Tra questi, il fattore p53 è certamente uno dei più importanti. Noto come oncosoppressore, quando subisce variazioni perde la sua attività soppressiva sul tumore ed acquisisce nuove funzioni oncogene, ovvero sostiene diversi aspetti del processo di cancerogenesi, tra cui l’alterata attività del metabolismo.
“Nelle cellule normali, a regolare il metabolismo sono altri fattori trascrizionali”, precisa Maurizio Bifulco, “mentre abbiamo osservato che l’attività regolatrice di p53 si esplica principalmente nel compartimento tumorale. In particolare, p53 è capace di legarsi a regioni specifiche dei promotori dei geni di diversi enzimi, attivandone la trascrizione (si tratta del trasferimento dell’informazione genetica dal DNA all’RNA): questi risultati rivelano un nuovo e più ampio ruolo di p53 nella biologia umana. Una migliore comprensione dei processi che regolano la via metabolica del mevalonato nelle cellule neoplastiche potrebbe aprire la strada a nuove cure”.
Il lavoro, pubblicato sulla rivista Cell Death & Disease, potrebbe favorire l’identificazione di nuovi bersagli terapeutici.