Mi chiamo Leandra Romano, ho 26 anni, sono una ragazza come tante, sono di Brusciano e sono una praticante commercialista. Adesso, però, non posso sapere cosa sarà di me, dato che lotto tra la vita e la morte.
A falciare la consuetudine che scandiva i miei giorni è stato un ragazzo di 21 anni, Pasquale Rubino. Gravi elementi di colpevolezza lo inchiodano, dopo un interrogatorio durato tutta la notte ha ammesso le due colpe, ma non è stato in grado di fornire la motivazione alla base di quell’aggressione che, comunque vada, mi ha segnato la vita. Mi ha aggredito con un’ascia mentre camminavo lungo via Napolitano. Erano le 19 circa di venerdì scorso, i negozi erano ancora aperti e nell’aria volteggiava un forte clima di festa, per effetto delle scintillanti luci montate per celebrare la festa del santo patrono.
Un via vai di auto, il traffico di sempre. Come ogni sera, stavo tornando a casa, dopo aver finito di lavorare nello studio dove svolgo la pratica di commercialista. Il mio aggressore transitava in auto, mi ha vista e ha pensato di aggredirmi con un’accetta. La mattanza si è consumata in pochi e feroci attimi, senza che nessuno potesse far nulla per me, per aiutarmi, per sottrarmi a quel feroce destino franato rovinosamente nella mia vita di sempre.
Dopodiché si è rimesso in auto ed è tornato alla sua vita di sempre, dimenticandosi di aver martoriato una sconosciuta per poi lasciarla in una pozza di sangue, per terra, per strada. I carabinieri sono riusciti a risalire a lui grazie agli elementi che gli sono stati forniti da chi, tra incredulità e sgomento, ha assistito a quegli attimi di autentica follia. Quando sono andati ad arrestarlo, lo hanno trovato nella pizzeria dove saltuariamente lavora come addetto alle consegne a domicilio. In auto aveva ancora l’accetta sporca di sangue. Del mio sangue.
A trovare il mio corpo agonizzante è stato un medico in servizio all’ospedale di Nola Santa Maria della Pietà. Ero a terra, sotto il marciapiede.
All’inizio ha pensato che fossi un ubriaco o un clochard, ma poi ha visto il sangue e si è avvicinata. Ha ipotizzato che fossi stata investita da un’auto, ma poi ha visto i tagli al volto. Ero ancora vigile e lucida, ma non sono riuscita a dire nulla. Da lì, la corsa in ospedale, dove nel reparto di rianimazione, la situazione è apparsa subito grave. Dopo i primi soccorsi è stato disposto il mio ricovero al Policlinico di Napoli dove sono stata sottoposta ad un delicato intervento neurochirurgico.
L’artefice di tutto adesso è rinchiuso nel carcere di Poggioreale, mentre io sono inchiodata in un letto d’ospedale in gravissime condizioni e lotto per rimanere in vita.
Sono stata aggredita in pieno centro. Tra le bancarelle del torrone della festa di San Felice. A pochi metri dal commissariato di Pubblica sicurezza e dalla stazione della Circumvesuviana di Nola.
I motivi che lo hanno spinto ad accanirsi contro di me con tale ed efferata violenza?
Lui non li spiega. Non sa, non vuole, forse non li conosce neanche lui.
Un raptus. Rischio di morire per merito di un raptus di follia.
Mia madre e mia sorella, accorse al mio capezzale, non sanno trovare una spiegazione, vegliano il mio corpo martoriato e pregano affinché possa tornare a casa, nel nostro appartamento in via Padula, insieme a loro. Gli inquirenti vagliano tutte le piste e le ipotesi possibili per cercare di ricostruire quanto mi è accaduto, per tentare di dare un senso ad un gesto che, comunque vada, un senso non l’avrà mai.
Forse io potrei consegnare la risposta a quel perché, ammesso che esista. Ma prima devo tornare a vivere.