Gennaro De Tommaso, detto “Genny ‘a Carogna” rimbalza nuovamente agli onori della cronaca rubando la scena al superlatitante Lino Sibillo nel giorno in cui “la notizia del giorno” doveva essere quella relativa alla cattura del leader della cosiddetta “paranza dei bimbi” dopo cinque mesi di latitanza.
Ricercato per droga, l’ex capo-ultrà della curva A dello stadio San Paolo si è presentato nel carcere di Secondigliano, accompagnato dal legale Giovanna Castellano che spiega: «Il mio cliente non è mai stato latitante, fino a ieri era un libero cittadino e aveva il diritto di allontanarsi di casa in qualunque momento». Genny ’a Carogna era intercettato da quattro anni, in virtù di quanto asserito nel 2010 il pentito Giuseppe Missio: «I Mastiffs sono un gruppo che comprende essenzialmente tifosi del centro storico e cioè Forcella, Piazza San Gaetano, via Pietro Colletta; i capi sono Gennaro De Tommaso detto «Genny la Carogna», che è figlio di Ciro, un camorrista affiliato al clan Misso». Gennaro ha già precedenti penali risalenti al ’99. Quindi era un “volto noto”, non solo per merito delle apparizioni in tv e le foto riportate su alcuni giornali, in cui veniva ritratto nel pieno esercizio dell sue facoltà di capo del tifo organizzato partenopeo, in particolare durante le partite degli azzurri disputate in trasferta, quando, all’indomani dei noti fatti accaduti prima della finale di Coppa Italia dello scorso 3 maggio 2014, la sua immagine fece il giro del mondo in maniera ben più eclatante.
L’agguato, poche ore prima dell’inizio della gara, all’esterno dello stadio Olimpico, culminato nel ferimento di tre supporter azzurri, il più grave, di lì a 52 giorni, risulterà essere quello che ha tolto la vita a Ciro Esposito e che proprio De Tommaso fu tra i primi a prestare soccorso al tifoso napoletano, mentre agonizzante, era tramortito al suolo dopo essere stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco.
È ancora Genny ‘a carogna a dominare i concitati attimi antecedenti alla partita, durante i quali tra i tifosi azzurri presenti sugli spalti si era diffusa la notizia che Ciro fosse morto e, pertanto, i supporter partenopei chiedevano che la partita non venisse disputata.
Il capitano del Napoli, Marek Hamsik, entra in campo scortato dalle forze dell’ordine. Si avvicina alla curva dei napoletani e sulla ringhiera è lui, Gennaro De Tommaso, il capo della fazione ultrà più potente e temuta, i Mastiffs, a dominare la scena.
I tatuaggi, il ghigno da cattivo, il fare da leader o da “boss” che dir si voglia e soprattutto quella t-shirt nera sulla quale esibisce una scritta in giallo: «Speziale libero», un lampante riferimento all’ultrà del Catania condannato per l’assassinio del poliziotto Filippo Raciti.
Scavalca la ringhiera e scende in campo, Genny, per dialogare con Hamsik: «Il calciatore è venuto da noi solo per dirci che Ciro stava meglio, che poteva farcela. Lo stesso messaggio che ci hanno dato le forze dell’ordine. Noi abbiamo parlato con tutti con calma e rispetto, senza minacce o provocazioni. Non c’è stata alcuna trattativa tra la Digos e la curva partenopea sull’opportunità di giocare o meno la partita», dirà poi nell’unica intervista concessa all’indomani di quei concitati attimi.
Eppure, intorno alla sua figura tante e varie illazioni sono insorte, in relazione a quell’episodio: secondo molti, sarebbe stato proprio lui ad impartire l’ordine di disputare la partita. Un’immagine, quella che ritrae mimica e movenze dell’ultrà partenopeo che ha fatto il giro del mondo, dando luogo ad un autentico e rocambolesco calderone mediatico, capace di offuscare la vicenda ben più grave che costringeva, in quelle stesse ore, un ragazzo di 30 anni a lottare tra la vita e la morte.
Dalle indagini scaturite da quelle vicende a De Tommaso viene dato il daspo, cioè il divieto di avvicinarsi allo stadio, per cinque anni. Il 22 settembre finisce agli arresti domiciliari. Nella sua ordinanza il gip lo definisce «capobranco», e lo accusa di resistenza a pubblico ufficiale, lancio di materiale pericoloso, invasione di campo, violazione sul divieto di striscioni e cartelli incitanti alla violenza o recanti ingiurie o minacce. Sei mesi dopo la detenzione domiciliare diventa obbligo di firma. A febbraio del 2015 il padre di De Tommaso, Ciro, pregiudicato, viene gambizzato nel suo bar. Nell’aprile 2015 Genny viene condannato a 2 anni e 2 mesi pena sospesa: i giudici lo giudicano colpevole per le violenze all’Olimpico, ma lo assolvono per la maglia con la scritta «Speziale libero». Il 6 settembre alla Sanità viene ammazzato Genny Cesarano e qualcuno racconta che proprio lui, De Tommaso, qualche giorno prima aveva cercato di mettere pace tra i guaglioni di Forcella e quelli del rione della vittima. Una voce, forse. O un dettaglio tutt’altro che trascurabile.
Durante la giornata di ieri, l’escalation di episodi contornati da manette e presunti reati, correlati alla figura di Genny ‘a carogna, giungono al culmine mediante il mandato di cattura per traffico di stupefacenti: insieme alla sua famiglia avrebbe importato dall’Olanda e venduto a Napoli hashish e marijuana.
Quando gli uomini in divisa si recano a casa sua per trarlo in arresto, Genny si è già allontanato. Forse una soffiata, giunta in maniera provvidenziale, lo ha avvisato dell’imminente visita. Tuttavia, nell’arco di 24 ore successive, De Tommaso si è consegnato alla giustizia.
E chissà che proprio lui non possa conferire un contributo determinante nel fare luce su quanto accaduto di recente in quella stessa curva A che per tempo immemore ha rappresentato il suo impero di re senza scettro né corona. Del resto, non occorrono, sulle gradinate degli stadi per detenere certe egemonie.