Vico Santi Filippo e Giacomo: a due passi da San Gregorio Armeno, nel cuore di quel centro storico animato da un intreccio di vicoli, sanpietrini e lunghe corde che congiungono un palazzo all’altro, esibendo colorati e fluttuanti panni stesi al sole, anche se lì il sole non batte mai.
Lì, in quel vico, un tempo, vivevano Emanuele e Pasquale Sibillo, in una casa come tante, ormai probabilmente destinata ad accogliere altre storie, altre vite.
Era lì che vivevano i due giovani boss a capo della “paranza dei bimbi”.
Una bara, oggi, rappresenta l’eterna dimora di Emanuele, un’incessante e spasmodico valzer che impone di balzare da una casa all’altra, invece, è l’attuale condizione di Pasquale, “senza fissa dimora” in virtù di una latitanza che di protrae da oltre tre mesi. Sfugge ai rivali del clan che lo vogliono morto, sfugge alle forze dell’ordine che lo vogliono dietro le sbarre. Da quell’appartamento, Lino si è allontanato poche ore prima che il 9 giugno scorso scattasse il blitz che portò in carcere una cinquantina di persone smantellando, di fatto, “la paranza dei bimbi” di Forcella. Tra i destinatari del provvedimento dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Napoli c’era anche il suo nome, oltre a quello di suo fratello Emanuele, freddato con un colpo alla schiena in via Oronzio Costa lo scorso 2 luglio.
Per qualcuno Pasquale Sibillo è un altro morto che cammina, eppure la storia contemporanea ne rilancia lo status di pericoloso latitante da stanare.
Tante, tantissime le voci e le leggende che in questi mesi si susseguono in relazione alla fuga di Lino. Stando a numerose indiscrezioni convergenti, le forze dell’ordine ritengono che possa nascondersi a Ponticelli, esattamente nello stesso posto in cui aveva trovato rifugio anche Emanuele, nel cuore di quel Rione Conocal patria del clan D’Amico.
Si conferma così il sodalizio criminale tra la paranza dei bimbi e “il clan di fravulella”, ancora forte e potente nella zona orientale al punto da riuscire a garantire protezione ai latitanti. Anche se, in virtù dell’omicidio della reggente del clan, Nunzia D’Amico, l’egemonia del clan risulta ancora tutta da confutare.
Un’ulteriore conferma del “feeling” tra D’amico e Sibillo vene fornita da quella motocicletta Transalp ritrovata l’esterno dell’ospedale Loreto Mare, dopo che qualcuno aveva frettolosamente scaricato il corpo senza ormai più vita dello stesso Emanuele: ebbene il mezzo è risultato intestato proprio a un pregiudicato di Ponticelli, prima resosi irreperibile e successivamente identificato. “Non so come mai la mia moto si trovasse lì, fuori all’ospedale” ha dichiarato ai poliziotti.
Secondo altre fonti, invece, Lino si nasconderebbe nelle campagne di Somma Vesuviana, forte della protezione di qualche conoscente o addirittura di qualche parente, e nel cuore dell’agosto scorso, sarebbe stato l’artefice del ferimento di due uomini in divisa, rimasti coinvolti in un incidente stradale proprio al culmine di un inseguimento innescato dopo che i due agenti avevano riconosciuto Lino in sella ad una moto e diretto a Ponticelli.
In ogni caso, Pasquale Sibillo lascerebbe il suo bunker solo di notte per tornare nel cuore di quel centro storico cittadino dov’è nato e vissuto fino a prima di quell’escalation di sangue e violenza. Torna a Forcella, Lino, lo fa di notte e forte della scorta dei suoi fedelissimi affiliati.
Lo ha fatto in più frangenti per sfilare nei pressi di via Oronzio Costa ed esplodere alcuni colpi di pistola in aria. Un messaggio chiaro rivolto alla “paranza dei capelloni”, ovvero gli acerrimi rivali del clan Buonerba: “io sono qui e non mollo”.
Gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Napoli, in attesa di stanare Lino, ieri hanno fermato Antonio Napolitano, detto ‘o nannone, ritenuto elemento di spicco del clan Sibillo di Forcella. Il giovane, da poco maggiorenne, quando è stato catturato, nel bel mezzo della città, era armato di fucile e munizioni. A luglio scorso Napolitano – che all’epoca era ancora minorenne – fu ferito, insieme ad altri due coetanei, durante l’agguato che si consumò in via Oronzio Costa pochi giorni prima di quello che costò la vita ad Emanuele Sibillo.