Uno scenario inquietante, quello emerso grazie alla denuncia de “Il Fatto Quotidiano” che da un lato palesa lo sciacallaggio più scarno e riprovevole che contraddistingue il modo di “fare giornalismo” di chi né di fatto né nell’etica può decantarsi tale, ma che usufruisce di un’ampia e quotata vetrina televisiva da gremire con quelle notizie che “fanno schizzare gli ascolti” e dall’altro quell’ancor più agghiacciante capacità di lucrare sulle proprie sciagure, dando in pasto ai media intimità, indiscrezioni e sentimenti riconducibili ad una sciagura familiare.
Fino a 3.500 euro a puntata per ogni apparizione televisiva: sarebbe questo il tariffario chiesto dai parenti del piccolo Loris Stival, trovato morto nel comune di Santa Croce Camerina il pomeriggio del 29 novembre 2014.
Questo è quanto emerge dalle intercettazioni raccolte dai magistrati che renderebbero quindi “non attendibili” le dichiarazioni rese, in particolare dalla nonna di Loris e madre di Veronica Panarello, Carmela Anguzza, e dalla sorella di Veronica, Antonella. I parenti, parlando con i responsabili delle varie trasmissioni rivelerebbero di aver percepito da 2.000 a 3.500 per partecipare ai vari show.
Non solo pagamenti in denaro, ma – come ricostruisce il Fatto Quotidiano – anche piccoli regali e altre forme di aiuti, come il pagamento di alcune spese mediche, prevalentemente da parte delle trasmissioni delle reti Mediaset. Un corteggiamento, riporta il quotidiano, in alcuni casi, messo in atto direttamente dalla stessa conduttrice di “Domenica Live” Barbara D’Urso.
La D’Urso dice all’Anguzza che deve tornare in trasmissione a dire che ha visto sua figlia e, guardandola negli occhi, costei le ha detto che è innocente. La D’Urso insiste sul fatto che in questo momento devono rimanere sul pezzo altrimenti l’opinione pubblica si convince sempre più che Veronica è colpevole. La donna però ha qualche tentennamento. “Cercano in tutti i modi di convincerla – continuano gli investigatori – dicendole che sono disposte ad aiutare il figlio minore con eventuali consulti presso strutture mediche e con dei piccoli regali”.
Appare evidente che, anche su sollecitazione dei giornalisti di turno, l’obiettivo era quello di convincere l’opinione pubblica dell’innocenza della congiunta senza alcun fondamento di verità o utile spunto per un approfondimento investigativo.
E se all’inizio la madre di Veronica dice di non volere andare in tv perché le sembra di fare “sciacallaggio”, in seguito le chiamate registrate dagli inquirenti diventano una vera e propria trattativa: alla donna vengono offerti 2 mila euro. Lei risponde, dapprima che non sa se sarà possibile e successivamente, chiede il motivo dell’esiguità del compenso. Poi, si consulta con il figlio in merito ai compensi offerti precedentemente e risponde alla giornalista chiedendo se è possibile anticipare a 30 giorni il pagamento, anziché a 60, perché ha bisogno di soldi.
Poche migliaia di euro: una cifra irrisoria per un colosso come Mediaset, soprattutto al cospetto di un investimento dal proficuo e sicuro rendimento in termini di audience.
Un costume ormai consolidato grazie alla tv italiana, quello che tramuta i parenti di vittime brutalmente assassinate in autentiche celebrità.
Poche migliaia di euro, il fascino del facile guadagno che consente di accaparrarsi laute somme di danaro senza sgobbare e perfino assicurandosi una solida fetta di visibilità: pochi, ma tutt’altro che trascurabili elementi che concorrono a svilire l’autenticità del dolore che in circostanze affini dovrebbe, invece, puntualmente dominare la scena, offuscando quel senso del decoro e del pudore che, di contro, non dovrebbe mai uscire di scena.