Il giorno dopo l’agguato camorristico che ha disseminato sangue e terrore tra gli irti palazzoni del Rione Conocal, a tenere banco sono le suggestioni e le illazioni.
Tutti hanno una gran voglia di raccontare, come se “dall’alto” delle mani invisibili avessero sciolto quel fitto bavaglio d’omertà che imbrigliava le bocche durante gli attimi immediatamente successivi all’agguato.
Tutti raccontano “il fatto com’è andato”, quindi la sequenza di quella turpe e cruenta sventagliata di colpi.
Non se l’aspettava, Nunzia e, in effetti, mai, prima d’ora, era accaduto che un’organizzazione criminale destinasse un’esecuzione simile ad una donna del clan.
Non aveva le sentinelle, Nunzia, a riprova della sicurezza che la donna nutriva in merito alla sua incolumità, nessuno piantonava il suo appartamento e, di conseguenza, nessuno, ieri mattina, poteva essere in grado di replicare al fuoco di quell’unico sicario. In virtù del ruolo che ricopriva nell’ambito del clan D’Amico, le sentinelle le sarebbero spettate, ma le misure cautelari adottate dalla donna erano tutt’altre e questo i De Micco lo sapevano bene. Lo conferma il fatto che ad aprire il fuoco è stato un unico sicario, con il volto coperto da un passamontagna nero.
Classe ’76, Annunziata D’Amico, detta la “passilona”, sorella del “celeberrimo” Giuseppe detto “favulella”, non era solo “la madrina” del clan: legata sentimentalmente a Salvatore Ercolani, detto “Chernobyl”, era madre di sei figli che non si faceva alcuno scrupolo ad utilizzare come corrieri di droga e di “imbasciate” importanti. Anche i più piccoli, soprattutto i più piccoli, perché sono quelli più insospettabili, quelli che danno meno nell’occhio, quelli che “se le guardie li fermano, non gli possono fare niente”.
Da quell’appartamento in via Flauto Magico, gestiva la più imponente piazza di cocaina della zona ed era ancora Nunzia a detenere il controllo delle armi, quelle rese agli affiliati più giovani prima del giro di controllo o delle incursioni in altre zone del quartiere. Dopo il duro colpo inferto al clan dalla maxi-operazione frutto delle indagini di Dda e carabinieri culminata nell’arresto di sessanta affiliati dei D’Amico, Nunzia, la sorella di “fravulella”, deteneva le redini del potere.
Nunzia viene descritta come una donna irriverente, “una guappa”, irrispettosa e piena di sé, forte del potere che le derivava dal ruolo di egemonia che aveva assunto all’interno del clan, non voleva né sapeva sottostare a nessuno.
“Non dava del “voi” nemmeno alle persone anziane… era una che il rispetto non sapeva nemmeno dove sta di casa”: un affronto che ferisce nell’orgoglio non solo gli uomini di camorra, ma anche le persone anziane, estranee alle dinamiche criminali, ma che non recepiscono di buon grado simili “alzate di testa”.
Quello di Nunzia, all’alba del giorno dopo, viene definito un delitto preannunciato da tempo e che poteva essere sventato, se solo la donna avesse “impiantato i piedi per terra” chiedendo protezione all’organizzazione.
Nunzia, sfrontata e irriverente anche con gli altri capi, si era impuntata: non voleva pagare il pizzo sulle piazze di spaccio del suo territorio.
Non voleva piegarsi alle imposizioni dei D’Amico, lei che in quel Rione, “il suo” Rione, roccaforte del potere detenuto dalla sua famiglia, imponeva la sua autorità in vario modo.
Voleva essere rispettata e temuta da tutti: questo l’obiettivo di Nunzia. Un delirio d’onnipotenza barbaramente freddato ieri intorno alle 13,30 in via Flauto Magico, quella stessa strada in cui viveva e dalla quale impartita ordini e direttive. In pochi fugaci attimi, gli odori peculiari del pranzo sono stati dilaniati da atroci e feroci gesta criminali.
Nunzia era sotto casa, in compagnia di un uomo e di un’altra donna. Una soffiata celere avrà avvisato gli uomini dei De Micco che sotto casa della “passilona” si era creata l’occasione propizia per “farle la festa”.
Nunzia dialoga in maniera distesa con le due persone con le quali si sta intrattenendo, quando davanti ai suoi occhi si materializza il suo sicario.
Al cospetto di quel passamontagna, la donna fiuta l’odore della morte e scappa, tenta invano di trovare rifugio dietro un’auto, ma viene raggiunta da un primo colpo alla schiena. Nunzia prova ancora a scappare, ma il killer la insegue e spara, le scarica addosso quasi tutta la pistola: due colpi al ventre, altri due alla nuca. Il killer raggiunge l’auto che, lo attendeva con il motore acceso e si danno alla fuga.
L’auto tampona finanche un altro veicolo, ma ciò non ostruisce la fuga dei sicari.
I killer celermente spariscono dal luogo dell’agguato, mentre Nunzia, tramortita al suolo, annega in una copiosa pozza del suo stesso sangue. La donna viene subito soccorsa ed è ancora in vita quando viene portata in condizioni disperate all’ospedale Villa Betania. È lì che morirà, poco dopo.
“L’hanno uccisa come Donna Imma Savastano” si vocifera, oggi, tra strade, tende e finestre del rione Conocal.