“Nun fa ‘o scemo”: questo il monito che ha funto da preludio alla violenta mattanza sfociata nell’omicidio di Luigi Galletta, la giovane vittima innocente di camorra, uccisa in un agguato nell’officina meccanica di via Carbonara in cui lavorava, lo scorso venerdì 31 luglio.
A pronunciare questa frase sono i due “scagnozzi” del clan Sibillo che erano giunti in officina nelle ore precedenti all’agguato per “trattare” con Luigi.
Una vicenda, una morte, quella del giovane meccanico, che nell’ambito degli arresti maturati durante la giornata di ieri, volti a sgominare principalmente il clan dei “capelloni”, potrebbe finalmente trovare una collocazione, un senso, un movente, quel “perché” al quale sono ancorate le speranze di giustizia della famiglia Galletta, costretta a piangere in eterno una morte ingiusta, prematura, emblematica di quel disagio sociale personificato dal braccio di ferro tra clan e gente comune che sovente sfocia in morti innocenti.
In un primo momento si era ipotizzato che il giovane avesse pagato con la vita il rifiuto di lavorare per “truccare” i motorini degli uomini dei Giuliano per renderli più potenti.
Invero, quella mattina, Luigi ha subito un autentico pestaggio: tre colpi con il calcio della pistola in testa, le medicazioni e nessuna denuncia, qualche ora dopo è sopraggiunta la morte con tre pallottole al petto che gli hanno devastato i polmoni.
Incensurato, 21 anni, una vita e un lavoro nel cuore del centro storico cittadino, animati e vissuti nel segno dell’onestà, falciati da uno sfrontato ed insensato agguato, consumatosi poche ore dopo l’avvisaglia insita nel pestaggio, quello stesso pomeriggio, ancora lì, in quella stessa officina. Tre colpi al petto che macchiano di sangue quella tuta pregna di grasso, sudore e sacrifici.
Luigi conosceva alcuni ragazzi, della sua stessa età, ritenuti vicini al clan Mazzarella: i rivali, gli antagonisti, gli alacri nemici della “pranza dei bimbi”. Contatti superficiali, di quartiere, ordinaria amministrazione tra coetanei che si aggirano tra gli stessi vicoli, seppur animati da intenzioni ed ideali agli antipodi. La pacata volontà di condurre una vita umile ed onesta, da un lato. Lo sfrontato desiderio di fare carriera tra le file del clan, dall’altro.
Luigi, però, ha probabilmente pagato con la vita il legame di parentela con Luigi Criscuolo, uno dei presunti esponenti del clan dei «capelloni» scompaginato all’alba di ieri.
La Procura sostiene che dietro l’omicidio di Luigi vi siano il volere e la mano del clan Sibillo, così come quei due ceffi che hanno fatto irruzione nell’officina quella mattina del 31 luglio per imporre al giovane meccanico quel cruento interrogatorio, appartengano alla stessa paranza dei bimbi.
Il movente va probabilmente ricercato nell’impellente e feroce esigenza da parte del clan dei baby-camorristi di venire a conoscenza del covo del cugino di Galletta. Un’informazione della quale, con molta probabilità, Luigi effettivamente non disponeva.
Ma il diktat della camorra non conosce margine d’imprevisto: e “non lo so” deve esser sempre ed inconfutabilmente rientrare tra le risposte sinonimo di “lo so, ma non parlo” e, pertanto, è un affronto da punire con la morte.
In balia di queste sfrontate regole è in ostaggio anche la vita della gente comune e la morte di Luigi lo ricorda.