“Giancarlo era un giornalista di strada, raccontava il territorio ed affiancava, al lavoro di cronista, riflessione e ragionamento: un ruolo fondamentale negli anni ’80, anche grazie alla nascita del Tg3”.
Inizia così il tributo commemorativo di Giancarlo Siani da parte di un “giornalista-giornalista”, uno degli esponenti più essenziali e rappresentativi di quel giornalismo d’inchiesta che, attualmente, sembra destinato ad assumere con triste, ma crescente incidenza, le sembianze della merce rara: Sandro Ruotolo.
Giornalista finito sotto scorta lo scorso maggio, perché, anche nel suo caso, esattamente come accadde 30 anni fa a Giancarlo, un boss – Michele Zagaria – lo vuole “squartato vivo”.
Ruotolo sottolinea che “Giancarlo non era uno che si limitava a svolgere il lavoro di giornalista con profonda abnegazione, va ricordato anche il suo impegno civile. Raccontare una notizia vuol dire schierarsi e Giancarlo non ha mai avuto paura di farlo. Quello che più fa specie, in relazione al ricordo di Giancarlo è il forte eco che suscita oggi, mentre negli anni successivi all’agguato, la sua fu percepita quasi come “una morte di serie b” rispetto a quella di altre vittime di mafia. Pippo Fava fu ucciso un anno prima di Giancarlo e la sua morte destò maggiore scalpore, perché fu ospite di Maurizio Costanzo. Il giorno della strage di Capaci, mi trovavo lì e posso dire che le lenzuola bianche stese in segno di lutto, come se la cittadinanza avesse perso un figlio, una persona di famiglia, ha sancito il primo, vero segnale di partecipazione da parte della società civile nella lotta alle mafie.”
Inevitabilmente, il pensiero confluisce verso quella “guerra” che il giornalista di frontiera si trova costretto a combattere per preservare la libertà non solo di pensiero, ma anche sotto tutti gli altri aspetti che contraddistinguono ed animano la vita e non solo la professione. Ruotolo ha evidenziato che le minacce non sono un problema che si ripercuote esclusivamente sui giornalisti più celebri ed affermati, ma che, anzi, contamina soprattutto le piccole realtà e questo aspetto rende ancor più eloquente l’attualità di Giancarlo.
Secondo i dati forniti da “Libera” sono 187 i giornalisti minacciati dall’inizio del 2015. Un dato che rappresenta “un campanello d’allarme. – sottolinea Ruotolo – Giancarlo, come me, sono sicuro, non aveva capito che sarebbe morto, perché in chi esercita questa professione, vive la convinzione che basta accendere i riflettori sulla notizia per rendersi immuni. In questo senso, Libero Grassi, rappresenta il più nitido esempio: fu l’unico imprenditore siciliano a denunciare il pizzo, pensavamo di tutelargli la vita facendolo venire in tv, invece, la realtà ha sancito ben altro. Fino a quando esiste quell’elemento costitutivo che deve diventare sempre più minoritario è una battaglia persa. È l’unione che fa la forza e quello che è successo dopo la morte di Libero, lo dimostra. I commercianti si sono riuniti in un’associazione e oggi più nessuno rischia la morte. Non assolvo Napoli, né la mia categoria. È importante, se non fondamentale, per la ripresa psicologica, quando subisci delle minacce, ricevere telefonate di solidarietà da parte dei politici e delle istituzioni, ma c’è bisogno di risposta concrete, perché quel numero, “187”, rivendica un celere intervento.
L’auspicio è che “il giornalismo seduto” viaggi di pari passo con il “giornalismo di strada”, peculiare di Giancarlo e di molti di noi.”