Salvatore Puccinelli, detto Straccetta è il boss della droga che muove le redini di uno dei due clan che dissemina terrore e spari lungo le strade del rione Traiano per conquistare il controllo del traffico degli stupefacenti. E non solo.
Pucciarelli, condannato nel 2011 alla detenzione fino al 2051per associazione a delinquere di stampo mafioso, ha evitato il carcere perché malato. Arrivato a Montesilvano ha ripreso a fare ciò che ha sempre fatto: il boss della droga.
Perché Totore Straccetta non è un delinquente qualsiasi. Puccinelli è uno dei capi della famiglia che domina il quartiere napoletano di Traiano. Un clan a cui la camorra ha affidato l’esclusiva dello spaccio di stupefacenti in tutta la periferia ovest della città. Chi ha gestito lo spaccio in un’area che conta più di mezzo milione di persone, non ha avuto difficoltà a ripartire dalla tranquilla costa pescarese. Anche perché ha pochi scrupoli e a Napoli ha conquistato la leadership con una scia di sangue senza fine. Una serie di morti tra cui c’è anche un bambino di 11 anni: vittima innocente di una sparatoria tra clan in guerra.
Era il 21 luglio 1991 a Soccavo, quartiere periferico di Napoli, Fabio De Pandi, un ragazzino di 11 anni stava rincasando con la famiglia dopo una visita ad amici nel Rione Traiano, quando, mentre saliva in auto, è colpito alla schiena da un proiettile vagante. A pochi metri di distanza dall’auto della famiglia De Pandi, due clan camorristici rivali si davano battaglia per il controllo degli affari illeciti. Durante un breve inseguimento sparano dei colpi, uno dei quali colpisce il piccolo. “Mamma, mi fa male il braccio”: Fabio ha avuto sol il tempo di pronunciare queste parole e poi ha perso conoscenza. Immediatamente accompagnato all’ospedale più vicino, Fabio muore dissanguato durante il trasporto: la pallottola gli aveva trapassato il braccio e penetrata nel torace, gli aveva leso gli organi vitali.
Un commando del clan Puccinelli, composto da quattro persone, sparò all’impazzata con lo scopo di colpire un esponente del clan rivale dei Perrella. Uno di quei proiettili ammazzò Fabio.
Una delle macchie più riprovevoli che contamina il curriculum di un “camorrista vero”, la cui carriera criminale comincia negli anni ’80, quando diventa il boss del Rione Traiano. Arriva alla guida del quartiere dopo aver fatto per anni da gregario a un altro camorrista: Umberto Ammaturo. Nel rione Traiano opera anche un’altra famiglia, quella dei Perrella. I due clan all’inizio si alleano e per 10 anni gestiscono lo spaccio di droga nella zona Flegrea. Un traffico di stupefacenti enorme che fa entrare nelle casse della camorra miliardi di vecchie lire. I soldi sono la forza dei due clan uniti, ma sono anche la causa della loro lite. I Perrella e i Puccinelli non litigano per la spartizione dei proventi della droga. Ma per la spartizione del bottino di un furto, consequenziale ad un colpo messo a segno nella casa del console del Belgio, in via Carducci, una delle zona più facoltose di Napoli. Il bottino è pesante: 13 pietre preziose e una collezioni di dipinti del’700 valutata un miliardo. Una marea di soldi che fa gola ad ambedue i due clan. Scoppia la guerra di camorra e nel Rione, allora come ora, si susseguono gli omicidi: cinque in meno di un anno.
Quando Salvatore Puccinelli entra in carcere, insieme a lui c’è anche il capo del clan rivale: Mario Perrella e altri cinque tra killer e gregari. La macchina della giustizia non si ferma e un anno dopo viene arrestata anche Angela Savarese, ancora oggi compagna di Straccetta. L’assedio delle forze dell’ordine si fa asfissiante, ma alla fine favorisce i Puccinelli. Troppi i Perrella finiti in carcere o morti ammazzati per strada e il clan di Totore, che nel frattempo ha lasciato la guida operativa ai fratelli Carmine e Ciro, vince la guerra. Comincia così un altro periodo d’oro. I Puccinelli si alleano con uno dei maggiori clan di Napoli, i Mazzarella, che concedono alla famiglia di Salvatore l’esclusiva del traffico di droga nella periferia ovest della città. Diventano così forti da farsi promotori di un’alleanza con le altre organizzazioni che operano nella loro zona. Il risultato è la nascita della Nuova mafia Flegrea. L’esordio della nuova organizzazione fa però scoppiare un’altra faida con il clan Grimaldi. E alla guerra di Camorra si aggiunge l’opera di polizia e carabinieri. Così i fratelli Puccinelli perdono potere, ma sono comunque influenti. Restano infatti leader nell’import-export di stupefacenti.
Salvatore Puccinelli ricopre un ruolo defilato, anche perché cominciano ad arrivare le condanne. La sentenza definitiva arriva nel 2006, ma il boss riesce a evitare il carcere sfruttando la legge e la sua malattia. Dopo che i medici certificano la sua patologia, il giudice gli concede l’obbligo di dimora. È a questo punto che Puccinelli opera la scelta che lo lega all’Abruzzo. Una scelta che può essere una chiave di lettura delle possibili infiltrazioni della camorra in terra abruzzese.
Una ruota che gira ripetendo e propinando le medesime e scriteriate dinamiche, esponendo i cittadini agli stessi pericoli, nel rispetto delle solite regole e per rincorrere puntualmente i medesimi obiettivi: questo è la camorra.
Da sempre.