Questa notizia non è frutto di una testimonianza diretta, ma di una segnalazione pervenuta alla nostra redazione da ben tre amici del protagonista della vicenda.
Un ragazzo nato e cresciuto nell’hinterland vesuviano che tuttora vive o sopravvive lì, poco distante dalla bocca del Vesuvio. Sarà il tempo ad accettare verso quale sorte confluirà la sua scricchiolante vita. Nel frattempo, può solo e semplicemente definirsi vivo per miracolo.
In molti, quindi, si chiederanno perché non abbiamo contattato direttamente lui, la persona in oggetto per accertarsi dell’attendibilità della notizia. Abbiamo provato a farlo, ma si vergogna. Non vuole, non sa raccontare la sua vicenda. Gli arreca ancora troppo disagio. E dolore.
E questo concorre a rendere la sua storia ancor più inverosimile.
Nel cuore dell’estate, durante una di quelle serate a suon di birre e schiamazzi con gli amici, trascorsa sul cratere del Vesuvio, quel ragazzo ha fumato l’amnè. Lui sapeva che quella che stringeva tra le mani non fosse una “semplice” canna, “quella roba” lui e gli amici l’hanno comprata di proposito, perché volevano “sballarsi sul serio” quella sera.
Una manciata di euro spesi bene, al Rione Traiano, nella patria dell’amné. È lì che stanzia “la nuova capitale della droga” tra le mura cittadine.
È da lì che le dosi partono e vengono distribuite ai pusher che a cascata le distribuiscono piantonando la piazza di spaccio di competenza. Dal centro storico ai quartieri, dalla sanità ai vicoletti della Napoli bene.
Le altre periferie giocano il loro ruolo, ma per essere “sicuri, sicuri” che compri “la vera amnè” è al Rione Traiano che devi andare a comprarla.
E così, quel giorno, quei ragazzi così hanno fatto.
Nel bel mezzo della serata, quando era giunto il momento di “sballarsi alla grande”, hanno consumato la tanto attesa “guest star”: l’amnè.
Quel ragazzo si è risvegliato dopo un bel po’ con il corpo adornato da più parti da provvidenziali e vistose ingessature. Non poteva muoversi, non ricordava come e perché si era ridotto in quello stato. Non sentiva niente, solo vuoto e dolore. Dolore e vuoto.
Grazie alle testimonianze degli amici, poi, con il trascorrere del tempo e con non poca fatica, quel vuoto ha ceduto il posto a diversi e frammisti stati d’animo, altamente lancinanti e il dolore ha assunto le parvenze di una profonda ferita che non vuole proprio saperne di rimarginarsi ed è riuscito a rimettere insieme i pezzi, consegnando un senso a quei continui flashback che gli squarciavano la mente dei ricordi.
Un volo a braccia spiegate verso il vuoto: questo è quanto ha ridotto in fin di vita quel ragazzo che, tuttora, giura e spergiura ad amici e parenti che non aveva e non ha mai avuto intenzione di suicidarsi. Sconvolto, incredulo, lui per primo, mortificato, continua, da settimane, a ripetere e ripetersi quella frase.
“Non volevo morire, non lo so perché mi sono buttato!”
Eppure, in quel momento, quella sera, tra le fauci del Vesuvio, dopo aver fumato l’amnè, compiere quell’immenso tuffo nel vuoto, gettandosi volontariamente incontro ad un comprovato pericolo, gli è parsa la cosa più sensata e giusta da fare.
Forse, tradito da una fallace allucinazione, ai suoi piedi ha scorto un’invitante piscina. Questo neanche lui è in grado di stabilirlo.
Una cosa, di una soltanto posso essere certa: mi è stata concessa la possibilità di sbirciare tra i referti custoditi nella sua cartella clinica e so che quelle fratture sono vere, così come altrettanto comprovata e documentata è la presenza di sostanze stupefacenti nel sangue di quel corpo che, quella sera, poteva planare a braccia aperte verso la morte, terminando nel più autodistruttivo dei modi quella ricerca di “sballo estremo”.