Il 15 Settembre del 1925 a Palazzolo Acreide (Siracusa) nasceva Giuseppe Fava, per tutti Pippo: una genialità eclettica, scrittore brillante, drammaturgo, saggista e sceneggiatore, ma soprattutto cronista coraggioso.
Intorno al 1940 si spostò a Siracusa per frequentare il Ginnasio ed il Liceo, per poi trasferirsi a Catania laureandosi in Giurisprudenza. Ma Pippo, alla carriera di avvocato preferì sin da subito la professione di giornalista, che iniziò come cronista al giornale “Sport Sud” di Catania ma successivamente, sempre come capocronista, prese parte a diversi quotidiani tra gli anni ’50 e ’60, tra i più importanti ricordiamo il “Corriere di Sicilia “ ed “Espresso sera “. In questi anni maturò una straordinaria vocazione artistica, letteraria e pittorica, iniziando a pubblicare opere di grande maturità e complessità che lo hanno consacrato come acuto testimone del suo tempo, nonché profondo studioso ed esperto del fenomeno della mafia siciliana.
Il giornalista siciliano fu tra i primi a parlare del “nuovo tipo di mafia”, non quello che spara e ammazza per strada, bensì quello che si infiltra nelle istituzioni. Come affermò durante la sua ultima intervista, rilasciata a Enzo Biagi: «I mafiosi sono in Parlamento, sono Ministri, quelli che chiedono il pizzo non sono i mafiosi veri, sono piccola criminalità». Il suo grande lavoro di denuncia purtroppo gli fu fatale, come accaduto sei anni prima a Peppino Impastato.
Ed ecco la svolta nel 1980, quando Fava fu chiamato alla direzione del Giornale del Sud, idea editoriale maturata all’interno dell’ambiente imprenditoriale, politico e giornalistico della Catania di quegli anni. Fu subito un giornale irriverente, senza prudenze, né ossequi.
Così i giornalisti, mediante lo strumento dell’inchiesta, per la prima volta riuscivano ad approfondire temi e questioni che l’informazione siciliana fino a quel momento non aveva preso in considerazione. In questo modo, il mensile di approfondimento diventava il manifesto della libertà di stampa in Sicilia: un giornale “senza padroni e né padrini” che si era rivelato un vero e proprio terremoto nel mondo della stagnante informazione regionale siciliana, oltre a diventare una spina nel fianco dei politici collusi e dei mafiosi.
Nel primo numero era infatti presente l’inchiesta probabilmente più importante di tutta la storia de I Siciliani: “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un servizio dedicato ai quattro maggiori imprenditori catanesi, Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Di loro aveva già parlato il generale Dalla Chiesa prima di essere ucciso dalla mafia.
In questi anni si scopre così da quel giornale, che la mafia a Catania è ben radicata, che il territorio etneo sta diventando di primissimo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, rivelandosi centro nevralgico degli equilibri economici di Cosa nostra. Tutto ciò sebbene i catanesi non lo avessero ancora sospettato, tranquillizzati dalle istituzioni e dalla grigia informazione, in una città investita da una ondata di violenza senza precedenti che aveva fatto meritare il titolo di “città nera” d’Italia.
Ma Catania farà i conti con la mafia proprio il 5 gennaio del 1984, quando verrà assassinato in un agguato mafioso Giuseppe Fava quasi 60enne, proprio a causa della sua tenacia nel raccontare i rapporti sempre più compromettenti tra mafia e istituzioni. Catania e la Sicilia, in questa data faranno i conti ancora una volta con l’omicidio di un intellettuale, di un uomo che era riuscito a parlare davvero alla gente e a proporre strumenti razionali per la lotta alla mafia.
Il segnale era chiaro, l’ennesimo giornalista ucciso in Sicilia; ma al ricatto mafioso I siciliani non cederanno, continuando nel proprio lavoro, denunciando con forza le collusioni tra mafia, magistratura e imprenditoria. Essi riusciranno ad essere, per qualche anno, i protagonisti del movimento antimafia siciliano, coagulando intorno a loro la società civile, dopo aver sensibilizzato una nazione intera. Continueranno ad essere così il punto di riferimento, insieme al quotidiano L’ora di Palermo, dell’informazione antimafia, seppur soffrendo parecchi problemi finanziari dovuti al fatto di essere un giornale libero e senza padroni. Questa sarà la causa che ne comporterà chiusure transitorie e purtroppo quella definitiva nel 1996.
In memoria di Fava è stata creata una Fondazione, che si occupa di educazione antimafiosa e ogni anno assegna un premio giornalistico intitolato a “Pippo” Fava, creato nel 2007.
«Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo».
Pippo Fava