Oggigiorno, con l’introduzione del digitale nell’ambito delle attrezzature e del virtuale specie con internet, la fotografia è stata massificata, mercificata, messa a disposizione di tutti. Ogni scatto può essere mostrato a milioni di osservatori nel giro di pochi secondi, che a loro volta possono condividere l’elemento generando in pochissimo tempo un circuito virtuoso che non conosce confini. In questo contesto, bombardato da immagini di ogni tipo, nulla fa più scalpore, o quasi.
Un esempio è rappresentato dalla tragica foto che ha fatto il giro del mondo, quella che ritrae il corpicino ormai senza vita del bimbo che le onde hanno trasportato sulla spiaggia di Budrum, in Turchia.
Si chiamava Aylan Kurdi aveva solo 3 anni, annegato insieme al fratellino Galip, 5 anni, durante il naufragio dell’imbarcazione che doveva portare la loro famiglia originaria di Kobane a Kos, l’isola greca dove migliaia di profughi dalla Siria sbarcano in queste settimane con la speranza di raggiungere il Nord Europa.
Nei piccoli polmoni di Aylan, non c’era nemmeno il soffio d’aria necessario a tenerlo in vita. Ma «l’urlo del suo corpo che giaceva a terra» come lo ha definito l’autrice della foto, è risuonato in tutto il mondo. Ci sono momenti tragici, come quello che sta interessando un numero elevatissimo di uomini, donne e per l’appunto bambini, che spesso perdono la vita nel tentativo di afferrare un sogno: la libertà di vivere dignitosamente. Se molti restano indifferenti o addirittura contrari all’accoglienza, è proprio l’immagine della foto di Aylan Kurdi che dovrebbe parlare alle loro coscienze. Un bambino di 3 anni, un bambino che dovrebbe avere la preoccupazione di giocare e ricevere le attenzioni dei genitori, un bambino di 3 anni, che non dovrebbe mai rischiare la propria vita.
È presto per dire se le foto del piccolo avranno questo impatto sulla crisi dei migranti o se verranno metabolizzate nella banalità dell’orrore, come già avvenuto per l’Europa in molte altre tragedie, penultimo in ordine di tempo il conflitto dei Balcani. Di certo non si può restare indifferenti.
Probabilmente per questo dal cancelliere tedesco Angela Merkel, al premier britannico David Cameron, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al primo ministro Matteo Renzi, tutti i leader ieri si sono sentiti interpellati da quel corpo abbandonato supino sulla battigia. Mentre i media globali con le loro prime pagine illuminavano la tragedia di Aylan e del suo fratellino Galip, il web mediante centinaia di migliaia di messaggi, disegni, ricordi e riflessioni sui social network ne amplificava l’emozione.
Il padre Abdullah racconta come tutta la sua famiglia, compresa la moglie, sia morta durante la traversata. Un quotidiano canadese, Ottawa Citizen, spiega come la zia di Aylan, Tima Kurdi, che ora vive a Vancouver in Canada, sia stata contattata dal padre del bambino, unico sopravvissuto alla traversata, che le ha dato la notizia della morte dei figli e della moglie. Tima avrebbe tentato invano di far ottenere asilo alla famiglia in Canada. Ma la richiesta sarebbe stata rifiutata in giugno.
Il Canada ha però fatto sapere che non ci sono tracce di domande di Abdallah Kurdi e della sua famiglia. Così la famiglia Kurdi avrebbe deciso di tentare la traversata dalla Turchia, da dove si trovava da qualche tempo (vivevano in condizioni terribili). Secondo l’agenzia di stampa turca Dogan tra Kos e Bodrum, insieme ad Aylan, sono morte 12 persone. Teema Kurdi ha riferito che il fratello Abdullah ora vorrebbe tornare a Kobane per seppellire la famiglia.