“Il festival dell’effimero” ogni estate puntualmente si consuma lungo le coste cilentane. Una tradizione esclusivamente napoletana, quella di esportare anche nei luoghi di vacanza “il pierraggio spiccio”, quello che impone ad un esercito di corpi in bella mostra, scarni di idee ed ideali, di macinare chilometri di spiaggia, ogni giorno, tutti i giorni, per tessere le lodi dell’imminente serata discotecara.
Sono loro i componenti della prima fila dell’esercito di scalmanati che marciano esibendo lo stendardo da seguire e dal quale farsi guidare, sul quale sono saldamente riportati tutti “i comandamenti” ai quali attenersi per entrare a far parte del “gregge dell’apparire”: dal mocassino che si sposa con il pantalone modello Capri, al tacco vertiginoso al quale, invece, è affidato il compito di slanciare il succinto abito. A seguire, uno stormo di giovani ed acerbi – e pertanto facilmente malleabili – soldati che si lascia soggiogare dalla consolidata suggestione peculiare del “fenomeno di massa”.
Ragazzini, a prescindere da quanto sancisca l’anagrafe, saccenti, sfrontati, irriverenti, nei modi, nelle gesta, nelle intenzioni. Incapaci di “fare comunicazione” nel senso più genuino ed interattivo del termine, perché galvanizzati da un opinabile ed inappropriato delirio d’onnipotenza: perché si dimenano in consolle durante l’happy hour in spiaggia, perché sono loro a scandire il ritmo da imporre al battito delle mani e ancora loro “fanno la selezione” e dispongono, quindi, del potere di decidere chi può accedere o meno all’ ”Olimpo della superficialità”.
“Non è colpa nostra se ci ritroviamo a gestire la mazzamma”: così, una delle più eccelse rappresentanti della suddetta categoria ha cercato di giustificare le copiose lamentele collezionate durante l’estate e che fotografano un contesto tutt’altro che patinato nell’ambito delle notti brave cilentane. Locali che attendiamo di capire come e perché vengano aperti al pubblico, a fronte di una discutibile agibilità, nei quali il livore di denaro, in particolar modo durante le “serate di cartello”, si traduce in una copiosa pioggia di privè che impone la presenza di tavoli e tavolini in ogni dove e che addizionata all’eccessiva affluenza di avventori, genera una calca umana, tanto pericolosa, sotto il profilo dell’ordine pubblico, quanto “illecita”, in virtù del palese esubero di persone accolte.
Acciaroli, in tal senso, personifica l’emblema di una situazione che proietta le sue deleterie grinfie ben oltre il grossolano schermo dell’apparenza.
La perla del Cilento ed ancor più la terra di Angelo Vassallo, in difesa della quale il sindaco pescatore si è battuto alacremente, fino a conquistare il pericoloso ruolo del personaggio scomodo. Vassallo ha trascorso l’ultima estate della sua vita proprio ad osteggiare il sistema radicato a ridosso del porto di Acciaroli da parte dei cultori di quella movida scalfita a suon di schiamazzi e pippate di cocaina. E lo ha fatto da solo, perché è stato lasciato solo, dalle forze dell’ordine ed anche dall’opinione pubblica che, allora, era incapace, probabilmente, di comprendere l’importanza e il valore dell’impeto che animava quell’ultima crociata di Vassallo, ma che, oggi, ne è più che consapevole e non vuole, non può e non deve permettere che ad avere la meglio sia, ancora una volta, il cinico imperativo insito nel principio “the show must go on”.
“Mio padre sapeva bene quello che faceva, – racconta Antonio Vassallo, figlio di Angelo – quell’estate si è personalmente esposto per salvaguardare la vera essenza di Acciaroli, quella contraddistinta da valori semplici e sinceri e che non ha mai avuto bisogno di eccessi per consegnare momenti felici ai suoi villeggianti. Trovo triste e vergognoso che a cinque anni di distanza dalla morte di mio padre, le cose non siano affatto cambiate, ma che, anzi, lungo le strade di un paese che ha sempre vissuto di “sano turismo” sfilino ancora baluardi detentori di valori altamente diseducativi, soprattutto dal punto di vista sociale. Fa ancora più rabbia sapere che quella stessa droga che mio padre ha cercato in tutti i modi di estirpare dalla sua Acciaroli, circoli ancora tra giovani che per divertirsi hanno bisogno di sballarsi. Acciaroli non è e non deve diventare una vetrina d’esposizione per trasgressione, cattivo gusto e pochezza interiore ed è ora che questi personaggi inizino a capire che questa non è casa loro e non possono continuare a violentare e straziare la vera anima di una terra che non ha affatto bisogno di questo genere di turisti. Lo dichiaro senza peli sulla lingua: Acciaroli non sa che farsene dei soldi di chi viene qui in cerca di trasgressione e solo per gettarsi a braccia aperte sul banchetto di vizi ed eccessi apparecchiato ad arte da persone che hanno perso decisamente la bussola e che credono di possedere le chiavi di questo paese, solo perché decidono quali saranno le canzoni che animeranno le notti brave degli avventori. Il mio pensiero non è condiviso soltanto dagli acciarolesi, ma anche e soprattutto dai villeggianti storici che da tempo immemore vengono qu in vacanza ed amano la vera Acciaroli e la vivono come una seconda casa. Per noi, per quelli che come me amano visceralmente questa terra, il divertimento è quello che ha scandito tutte le estati delle nostre vite, guidandoci verso esperienze indimenticabili che non potevano mettere in nessun modo a repentaglio la nostra vita. Per assicurare a noi e ai nostri figli quel genere di divertimento, mio padre è stato ucciso e tutti quelli che amano Acciaroli non possono e non devono permettere che adesso vengano seppelliti anche la sua memoria e il messaggio che ci ha lasciato in eredità.”
Secondo i fautori del divertimento compulsivo in terra cilentana, pubblicare quest’articolo avrebbe voluto dire: “fare pubblicità negativa ad Acciaroli.”
L’intento che fortemente questo articolo cavalca è quello di far giungere in maniera chiara e marcata, non solo a loro, ma a tutti coloro che si interfacciano con questa realtà, un messaggio ben preciso: Acciaroli non è casa vostra e “quelli come noi” si batteranno sempre per salvaguardare la reale essenza di una bellezza naturale che non può essere sfregiata da un inopportuno e non richiesto intervento di chirurgia estetica.