Le mani che lavorano mosse, animate e motivate dalla passione le riconosci subito. Le individui guardando la servile abnegazione con la quale si destreggiano tra quelle tutt’altro che mnemoniche e stereotipate gesta. Ancor più, le distingui ritrovandoti “costretta” ad apprezzare la risultante finale di quel prodigioso cocktail a base di sacrifici, esperienza, talento, professionalità ed amore. Soprattutto amore.
Così Paolo Manna è entrato nella mia vita, in un’estate come tante, eppur puntualmente capace di lasciare un segno identificativo, unico, peculiare, “suo”, tra le pieghe dell’anima e l’album dei ricordi da immortalare. Un’estate come questa, quando non ero ancora una giornalista, ma solo un’attenta osservatrice, desiderosa di gettare lo sguardo oltre la mera e superficiale apparenza delle cose, delle persone. Quando due anime infervorate ed ispirate da quella passione che visceralmente guida e motiva le proprie ambizioni si incontrano, le parole sono superflue.
“Un giorno, prima o poi, metteremo in piedi una rubrica che racconterà la movida con occhi diversi.”
Una promessa, un desiderio, un sogno, nato nel contesto apparentemente più frivolo ed utopistico ipotizzabile, nel cuore dell’estate, tra l’assordante rimbombo delle hit del momento, un drink, una sigaretta, il profumo di salsedine e il caldo appiccicoso che fino a notte fonda avvolge l’aria in un fitto ed invisibile mantello d’afa, utile a ricordare che l’estate è soprattutto questo: la capacità di lamentarsi del superfluo.
Anche quest’estate, io e Paolo, ci siamo ritrovati lì, nello stesso posto, accanto al bancone dello stesso bar, ma con qualcosa di diverso da dirsi e da darsi: è un anno, ormai, che il giornale che accoglie queste parole, esiste ed ha dato forma ed espressione a quella promessa/desiderio/sogno, nato qualche estate fa. È da un anno che Paolo scechera anche cocktail di parole che raccontano la sua vita da barman. E non solo.
Perché quando pratichi un lavoro e non un “mestiere” con passione, non indossi una divisa, ma ti porti cucite addosso le emozioni e le esperienze che quell’apparente routine quotidiana sa puntualmente consegnarti e che concorrono a fare di te una persona migliore. Viceversa è proprio quella passione a rendere unico il tuo lavoro. Questo l’ho imparato osservando Paolo mentre lavora.
Questo è il motivo per il quale non ho mai avuto dubbi: era Paolo l’anima giusta alla quale consegnare il racconto della vita notturna, quella involgarita dalle contraddizioni, galvanizzata dal ticchettio dei tacchi a spillo e dal fascino peculiare del sano ozio.
Da quel giorno è trascorso un anno e Paolo non ha mai tradito le aspettative, dimostrando di essere non il barman, ma la persona giusta: “La risposta da parte dei lettori che non credevo minimamente di riscontrare, la possibilità di attuare una panoramica sulla mia vita e sul mio lavoro, sono gli aspetti di quest’avventura, che dura ormai da un anno, che mi hanno maggiormente emozionato. Sono commosso soprattutto dalla risposta dei colleghi, in particolare dei più giovani che hanno manifestato una comunione d’idee, approvando quanto da me esternato pubblicamente. Sono contento di aver avuto modo di sottolineare che il nostro non è un mondo fatto solo di musica e paillettes e che dietro al bancone c’è un uomo, non un barman. Ho avuto modo di denunciare e comunicare, senza paura, anche se questo ha voluto dire tirarmi contro qualche inimicizia ed antipatia, ma poco importa, ho cavalcato un canale che mi ha consegnato un ottimo modo per esprimere le mie idee e sottolineare quello che non va in quest’ambiente, sempre tanto chiacchierato. Ho davvero messo nero su bianco, sempre, nel bene e nel male, tutto quello che sono e che sento, anche i momenti d’insoddisfazione, le aspettative, i rimpianti, esternando, talvolta, anche una tristezza velata, “umana”, in quanto rilevabile nell’esperienza di vita di ciascuno di noi. Non posso che essere felice per quanto ho avuto modo di vivere ed esprimere durante quest’anno e spero di aver consegnato qualcosa agli occhi che hanno avuto modo d’imbattersi nelle mie parole.”
No, non è un addio, è solo un nuovo inizio: “Adesso sono nel vivo dell’ennesima avventura “vacanza-lavoro” della mia vita. Sono ritornato dopo un anno d’assenza, l’estate scorsa non ho lavorato, ma non è questo che mi ha portato a maturare una nuova consapevolezza. Un ritorno che mi ha reso felice da un lato, dall’altro mi ha messo in condizione di concludere che sono qui per incastonare l’ultimo tassello che manca per chiudere il cerchio, ovvero, consegnare il testimone ad un giovane talento innato che ha tutte le carte in regola per diventare un barman apprezzato e quotato: Mirko Sciandra.”
Mirko è un giovane originario di Monza che ha compiuto “il viaggio della speranza” al contrario, trovando al Sud la sua America: “Paolo è l’icona dei barman dei baretti di San Pasquale a Chiaia. Da Paolo ho imparato tutto quello che so e, forse, anche quello che sono: come gestirmi e gestire il lavoro dietro al bancone, come approcciare con i clienti. A lui e a Daniele Cuscunà devo tutto. Daniele è stato un’ottima spalla per Paolo per tante estati e per me è stato un grande maestro. Da lui ho imparato come muovermi, da Paolo che uno sguardo vale più di mille parole. Oggi posso dir che ho imparato più cose guardando le mani di Paolo che ascoltando le sue parole. Paolo non è un uomo loquace, ma capace di dispensare incessantemente gesti concreti. “Non accontentarti mai” è l’insegnamento più importante che gli devo. Poche parole, le giuste ed essenziali, quelle che lasciano il segno. Il resto, Paolo lo esprime attraverso gli sguardi, mentre, gli insegnamenti cruciali, lascia che siano le sue mani a suggerirli.”
No, l’estate non è mai una fine. È sempre un nuovo inizio.