Un bambino palestinese di 18 mesi è morto in un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, a causa di un incendio appiccato nelle prime ore del mattino da presunti nazionalisti ebrei. Il piccolo Ali Dawasbsheh di soli 18 mesi e la sua famiglia in cui c’era un altro bambino di quattro anni dormivano mentre la casa bruciava. Genitori e fratellino sono rimasti gravemente feriti nell’ incendio con ustioni sul oltre il 70% del corpo e ricoverati presso l’ ospedale Tel ha-Shomer di Tel Aviv. Ali, invece, malgrado gli sforzi dei genitori, è morto tra le fiamme.
Lo ha reso noto la polizia israeliana, affermando che sul muro della casa data alle fiamme sono state dipinte le scritte “vendetta” e “Viva il re Messia”. L’ aggressione sembra essere un attacco “price tag”, espressione usata dagli estremisti per le loro aggressioni ai palestinesi e, in alcuni casi, anche a istituzioni israeliane.
Nabil Abi Rdainah, portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas, ha dichiarato che la responsabilità dell’attacco è di Israele e ha affermato in un comunicato che “Un crimine di questo tipo non sarebbe avvenuto se il governo israeliano non insistesse nel costruire insediamenti e nel proteggere i coloni. Non si può dissociare questo attacco barbaro da un governo che rappresenta una coalizione per la colonizzazione e l’apartheid. Intendo chiedere alla Corte penale internazionale che punisca i colpevoli”.
Anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu parla di terrorismo e ha dato l’ordine alle forze di sicurezza di agire con tutti i mezzi a disposizione per catturare gli assassini e portarli al più presto in giudizio.
Secondo il negoziatore palestinese Saeb Erekat, Israele non può sottrarsi alle proprie responsabilità in quanto – ha sostenuto – “Dal 2004 a oggi si sono verificati in Cisgiordania 11 mila attacchi di coloni contro beni palestinesi, chiese e moschee’’, senza che di norma i responsabili fossero puniti.