Il racket, la camorra, quelli che impongono il pizzo, gli estorsori, i criminali, il braccio armato e violento dell’illegalità, quello irriverente e che non guarda in faccia a nessuno, pur di raggiungere il tanto agognato obiettivo: impadronirsi degli averi guadagnati della parte onesta della cittadinanza, quella che lavora perseguendo la legalità, combattendo contro tasse e crisi, macinando sacrifici e preoccupazioni.
Girovagando tra le attività commerciali di Napoli e provincia, il coro di voci che s’innalza dialogando con chi tutte le mattine solleva la saracinesca dando luogo ad una nuova, incerta ed impegnativa battaglia, è pressoché unanime e narra la stessa, straziante realtà.
Sono stanchi i commercianti: di tutto e di tutti.
In primis, delle tasse che continuano a gravare sui di per sé esigui introiti; stanchi della “paura di spendere” che la crisi ha inferto nelle coscienze dei consumatori che, a dispetto del gioco al ribasso al quale i prezzi seguitano ad andare incontro, impongono alla merce di continuare ad ingiallire tra polvere ed inerzia; stanchi della concorrenza del mercato cinese che ha inferto una stangata ancor più dura all’economia locale. Ed, infine, ma non ultima in ordine di rilevanza, ci si mette pure la camorra.
Le organizzazioni criminali, in un momento storico così topico per l’economia nazionale ed ancor più per Napoli – città che funge da autentica “cassa di risonanza” dei problemi nazionali, dove le difficoltà si amplificano ed assumono forme ben più sproporzionate – consentono alla cruda e sfrontata ferocia che contraddistingue la loro indole, di emergere in tutta la sua violenta ed inumana angheria.
La camorra non conosce pietà, né tolleranza, né compassione.
I camorristi sono uomini fatti della nostra stessa carne, ma, in petto, gli batte un cuore “diverso”.
“Il business deve continuare”. La camorra non conosce leggi di mercato.
E seguita ad alimentare i propri introiti a discapito di chiunque, anche di chi già versa in una condizione di precaria ed allarmante miseria che funge da palpabile preambolo di una conclamata rovina.
In quel caso, al cospetto di quel collo penzolante nell’inerme agonia che logora l’attesa, ci pensa la camorra ad imprimere “il colpo di grazia” decapitando ogni speranza di miglioria.
Napoli brucia, nelle ultime settimane, con una frequenza non solo allarmante, ma soprattutto eloquente e quelle fiamme urlano con straziante inquietudine un disegno criminale che sta prendendo il sopravvento e che rivendica e demarca la sua egemonia su quel territorio, destinato ad assumere le impotenti fattezze di un ostaggio in balia degli eventi, incapace di divincolarsi.
Oltre ai due incendi appiccati nella zona di Gianturco e che hanno colpito il business cinese, le cui cause sono ancora tutte da accertare, pochi, davvero pochi dubbi, invece, emergono in relazione ai tre incendi che hanno coinvolto altrettante attività commerciali.
Un girarrosto è stato distrutto da un incendio e la saracinesca di un’attigua macelleria, dello stesso titolare, è stata danneggiata in piazza De Leva, nel quartiere Arenella. Il titolare del girarrosto ha affermato che la causa dell’incendio potrebbe essere un corto circuito.
Un ordigno è stato fatto esplodere contro un laboratorio orafo in via D’ Annibale. La saracinesca del negozio di tessuti “Cardone”, in via S. Anna dei Lombardi, è stata divelta. I ladri si sono impossessati della cassa.
Napoli brucia e per domare “certe fiamme”, pare che non vi siano degli estintori sufficientemente carichi ad osteggiare la portata di un fuoco animato da una violenza impietosa.