Tre incendi, sorti in tre momenti diversi, in tre aree differenti, generati ed alimentati da motivazioni dissimili.
Il primo ha avuto luogo durante le prime ore del pomeriggio di venerdì 17 luglio, in via Aldo Merola, nel quartiere Ponticelli, nella zona est di Napoli ed ha interessato una nutrita fetta della discarica abusiva a cielo aperto che contorna il parco Merola. Le fiamme, alimentate da sterpaglie e rifiuti di ogni genere, hanno rappresentato un pericolo, imminente e palpabile, per i residenti del parco, unitamente all’altissima colonna di fumo che ha cosparso nell’aria ceneri e materiale inquinante. Tant’è vero che perfino i vigili del fuoco hanno riscontrato non poche difficoltà nel domare le fiamme. Uno dei tanti roghi che quotidianamente divampano, da più parti, e dietro i quali, secondo alcuni, vi sarebbe lo zampino dei rom.
L’incendio maturato a ridosso del parco Merola, invero, denuncia e conclama una condizione diversa: la natura non dolosa sottolinea tutt’altra problematica con la quale fare i conti. Vaste aree di terreni incolti che vengono ringalluzzite di rifiuti di qualsiasi genere. Ancora, incessantemente. Basta una labile scintilla per generare autentici e notevoli disastri ambientali ed esporre la cittadinanza all’esalazione di sostanze tossiche, oltre che al pericolo materiale insito nelle fiamme.
Tutt’altre le cause che, invece, hanno portato all’insorgenza del fitto incendio che ha seminato allarmismo e disagi nella zona di Gianturco, lo scorso giovedì pomeriggio.
Tre o quattro bombole di gas esplose all’interno dei depositi, provocando delle forti detonazione, sei persone, due vigili del fuoco e quattro poliziotti, sono rimasti intossicati dalle esalazioni. Diverse le squadre dei vigili del fuoco impegnate per ore per spegnere il rogo: a dare una mano ci ha pensato anche la pioggia, caduta copiosa tra le 17 e le 18. Meno di un mese fa un incendio di minore portata interessò un capannone gestito da cinesi in via Galileo Ferraris, nella stessa area in cui si è sviluppato il rogo di giovedì scorso. Case e negozi evacuati, il blocco del traffico ferroviario per circa mezzora sulla linea 2 della Metropolitana (Pozzuoli-San Giovanni/Barra) all’altezza della stazione di Granturco, due squadre dell’Arpac, l’Agenzia regionale di Protezione ambientale, si sono recate sul luogo dell’incendio per effettuare un’analisi sul materiale bruciato. In particolare per verificare la presenza di diossine o altri elementi tossici nell’aria. La forte pioggia che si è abbattuta sulla città ha agevolato una dispersione delle scorie.
Si tratta di un’area cruciale per una serie di motivi. L’altissima presenza di commercianti cinesi e la vicinanza del centro operativo della direzione investigativa antimafia. Allo stato attuale delle cose, appare piuttosto probabile che si tratti episodi legati o all’intervento della camorra nei confronti di imprenditori cinesi o di azioni che portano la firma della stessa mafia cinese.
In ogni caso, si è trattato dell’ennesimo disastro ambientale che va a rimpinguare l’aria di agenti atmosferici tutt’altro che salubri.
Fiamme disseminatrici di agenti inquinanti e distruzione sono divampate anche a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta e sulla matrice dell’incendio che ha coinvolto la “Cleprin”, l’azienda schierata contro la camorra, non sembrano esserci dubbi.
Un nuovo tentativo intimidatorio, messo a segno attraverso incendi e furti: un’evidente strategia, un’autentica escalation. La “Nco” è la “Nuova cooperazione organizzata” ed ha lanciato un impavido guanto di sfida alle mafie campane. Accolto repentinamente dalla controparte che da qualche tempo ha iniziato a rivolgere “attenzioni particolari” alla cooperativa.
L’incendio doloso della “Cleprin”, azienda etica che produce detersivo ecocompatibile (presente nel “Pacco alla camorra”) rappresenta l’ennesimo sussulto violento, messo a segno per a ridimensionarne le velleità di chi concretamente sa opporsi alle angherie criminali. Antonio Picascia, titolare dell’azienda divorata dalle fiamme, difatti, qualche anno fa aveva denunciato un tentativo di estorsione.
«Non saranno questi scarafaggi a farmi andar via da Sessa Aurunca. Cercherò di riaprire l’azienda il prima possibile, anche per i miei trenta lavoratori». Ha affermato, al cospetto delle fiamme che mandavano in fumo il suo lavoro, i suoi sacrifici.
Tre incendi che forniscono un’istantanea in grado di documentare tre realtà differenti, il cui unico, triste ed autentico minimo comune denominatore è facilmente rilevabile nell’ombra delle organizzazioni criminali che troneggiano, in maniera più o meno palese, sulle nostre vite. Disseminando minacce, rifiuti, nubi di fumo, fiamme, ceneri, distruzione e devastazione.