“Quando si è giovani si tiene chiuso in un cassetto un sogno. Crescendo ci si impegna a dargli una forma, un nome, una realtà.”
Questa frase è stata partorita da un ragazzo di 27 anni, giornalista, prima nell’animo e poi di professione.
I sogni rappresentano un’arma che può ritorcersi contro “il sognatore”, perché, talvolta, sanno repentinamente tramutarsi in una “condanna” condita di frustrazione, umiliazione e delusione.
Soprattutto delusione.
Quella che sorge quando quell’orpello di bagliori e speranze s’infrange contro la realtà e si disintegra in mille pezzi di disfattismo.
I sogni, però, possono rappresentare anche il punto di forza di un’anima scaltra, incapace di distogliere lo sguardo dall’obiettivo, mai troppo stanca per macinare passi in avanti, mai disposta a lasciarsi irrigidire dal pugno sferrato dalla spietata mano della delusione.
È il tempo che determina di che natura sono farciti i sogni che ciascun ragazzo gelosamente custodisce.
Il parco Merola, i suoi abitanti, i ragazzi e soprattutto i bambini, si apprestano a vivere una giornata animata da un avvenimento cruciale e che introduce tante e svariate emozioni, soprattutto in relazione ad un sogno nato insieme alle opere di street art che, quest’oggi, verranno “festeggiate”.
Difatti, poco prima che fossero avviati i lavori che hanno portato alla realizzazione delle due opere di street art, susseguite alla celeberrima “creatura” rom realizzata da Jorit Agoch, proprio grazie ad un articolo di denuncia pubblicato dal nostro giornale, le istituzioni si sono impegnate a ristrutturare il campo di calcio ubicato al centro dello stesso parco Merola e che versa in condizioni indicibili e tutt’altro che degne di ospitare dei bambini.
Un sogno la cui realizzazione che potrebbe rappresentare un punto di svolta cruciale per gli oltre 30 bambini che dimorano in quel parco, costretti a trascorrere lì la stragrande maggioranza delle loro giornate, perché la strada adiacente non è di certo percorribile a piedi, perché di lì non transitano gli autobus di linea. Perché non hanno alternative.
È così che è nato il sentimento che ha conferito quell’identità scalfita dalla vernice delle bombolette al disegno realizzato dalla coppia siciliana di street artist Giulio e Mirko.
Due bambini, un pallone e l’azzurro che predomina imprimendo una suggestione assai calzante alle magliette indossate dai due protagonisti: una riecheggia i colori sociali della maglia del Napoli, l’altra quelli dell’Argentina. Com’è giusto che sia nella terra adottiva di D1OS.
Due bambini che guardano verso quel campo che giace in attesa di accogliere la fioritura di quel sogno cullato dai bambini del parco.
Due bambini che guardano verso il futuro e si uniscono a quel coro di voci mute che attende di scoprire di che natura saprà rivelarsi d’esser composto quel sogno, avente la forma di un rettangolo verde, che si chiama “campo di calcio” e che attende di vedere concretizzato il suo diritto di diventare realtà.
“Quando si è giovani si tiene chiuso in un cassetto un sogno. Crescendo ci si impegna a dargli una forma, un nome, una realtà.”
Questa frase è stata partorita da un ragazzo di 26 anni, giornalista prima nell’animo e poi di professione che si chiama e non “si chiamava” Giancarlo Siani.
Un ragazzo che ha dato tutto sé stesso pur di tessere il suo sogno nella realtà. Un ragazzo, morto all’età di 26 anni, ucciso all’età di 26 anni e che non deve rappresentare un esempio per i ragazzi di oggi, ma per quelli di ieri che hanno smarrito i loro sogni e rischiano d’inasprire quelli che tuttora e con voce sempre più sostenuta, rivendicano di personificare una forma, un nome, una realtà.