Oggi è “il giorno”. Quello durante il quale Mirko e Giulio termineranno la loro opera di street art all’interno del parco Merola.
Pertanto, il terzo disegno su facciata sta per presentarsi agli abitanti del parco. Rispetto agli altri due dipinti realizzati nel corso delle settimane precedenti e che costeggiano la strada rendendosi visibili anche dall’esterno, l’opera realizzata dai due siciliani impone agli occhi dei curiosi di addentrarsi nel cuore del parco per essere ammirato e contemplato.
Un guanto di “sfida” interessante quello così lanciato e che potrebbe scardinare un pregiudizio che risulta piuttosto radicato nella cittadinanza: estirpare “il timore” di accedere in un contesto etichettato come “difficile” e “pericoloso”. Rompere gli indugi e superare il confine che idealmente s’interpone tra “dentro” e “fuori” potrebbe consegnare una “scoperta inaspettata”, pregna di cordialità e sorrisi, contornata dai gesti, dalle movenze e dagli sguardi di bambini speciali.
Bambini come quelli ritratti nel dipinto che troneggia sul campo di calcio.
Bambini che attendevano di vedere giungere quanto prima operai muniti dei ferri del mestiere per scalpellare quell’ammasso di cemento fatiscente e conferirgli un corpo e un’anima più idonee ad accogliere i giochi da bambini e dei bambini.
Il campo doveva essere ultimato entro il termine dell’opera di street art di Mirko e Giulio, conferendo così anche all’opera in questione un senso più compiuto, suggestivo ed educativo.
Durante questi mesi, non è mai trascorso un giorno senza che i bambini non ponessero questa domanda: “quando lo fanno il campo nuovo?”
Gli stessi street artist siciliani non hanno negato il loro dispiacere frammisto ad imbarazzo nell’imbattersi in quel quesito incalzante. Eppure ai bambini è chiaro che i due ragazzi, al pari di Jorit e Marco, sono lì solo per lavorare al disegno e non hanno alcun potere materiale in relazione alla realizzazione del campo. “Se potessi glielo farei io – ha confessato Mirko, tra “un colpo di vernice” rigorosamente inferto con la bomboletta e una pausa per refrigerarsi dalla morsa latente del caldo – ma più che tracciargli delle linee più marcate, cosa potremmo fare noi?”
I due ragazzi, siciliani purosangue, vivono e respirano un’aria che non deve essere molto diversa rispetto a quella che si espande alle pendici del Vesuvio e questo senz’altro gli consente di compenetrarsi in quella realtà e di comprendere il sentimento che genere quella cantilena ripetuta con crescente insistenza, tratteggiata dai disfattisti colori della sfiducia.
Tempo addietro mi fu chiesto di chiedere ai bambini di trascrivere i loro sogni e raccontare come vorrebbero che fosse questo tanto atteso campetto. Loro hanno risposto così: